Il Papa incontra i giovani coreani: “Scusate il mio inglese è povero”

SEUL. – Il mio inglese è povero, ma un amico mi ha detto che non potevo parlarvi con un foglio in mano. Allora devo parlarvi spontaneamente, dal cuore ma ho difficoltà e anche se il mio inglese è povero alla fine ho deciso. Posso dire qualcosa di spontaneo, ma devo farlo in italiano, chiedo la traduzione, grazie. Così il Papa ha introdotto le sue risposte ai ragazzi coreani radunati a Daejon e ha organizzato un botta e risposta. E’ stato applaudito moltissimo quando ha detto che il suo inglese era povero. I ragazzi urlavano “non è vero” , ma lui ha ripetuto, “sì, sì, è povero”. L’incontro con i circa seimila giovani riuniti per la giornata della gioventù asiatica, nel pomeriggio a Solmoe, il santuario nel sud del Paese sorto sul luogo natale del primo coreano divenuto prete, e poi martire, Andrea Kim Daejon, ha rallegrato il secondo giorno di papa Francesco in Corea. Una giornata fitta di impegni, a cominciare dal viaggio in treno anziché in elicottero a Daejon, per la messa con circa 50mila persone, durante la quale ha incontrato superstiti e parenti delle vittime del naufragio del Sewol, decidendo di battezzare, domani in nunziatura, il papà di uno dei ragazzi morti che ha chiesto il battesimo. Il pranzo nel seminario maggiore con alcuni ragazzi da moltissimi paesi dell’Asia gli ha permesso di parlare con loro, anche con un po’ di difficoltà dovute alla lingua, dei problemi della Chiesa nei loro paesi. Nei diversi interventi pubblici papa Francesco ha sviluppato sotto diverse angolazioni il tema della ricchezza materiale e della idolatria del danaro che possono portare a “deserto spirituale”, “solitudine e disperazione”. Nella omelia a Daejon ha espresso condanna delle “economie disumane” e della “cultura della morte”. Nel dialogo con i ragazzi ha ascoltato molto seriamente le loro riflessioni. Ha anche promesso a uno di loro, una volta tornato a Roma, di incaricare il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, di avviare studi per beatificare e canonizzare anche i cambogiani. L’intervento di uno dei ragazzi aveva osservato “con un po’ di dolore e nostalgia della sua terra che in Cambogia non ci sono santi ancora. Bene, – ha detto il Papa – i santi in Cambogia ci sono, ma lo so, la Chiesa ancora non lo ha riconosciuto, non ha beatificato e canonizzato nessuno. Ti prometto – ha assicurato – che me ne occuperò quando tornerò a casa: parlerò all’incaricato di queste cose, che è un buon uomo, si chiama Angelo e gli chiederò di fare una ricerca su questo, lo prometto”.