Gaza: salta la tregua, i dilemmi di Netanyahu

TEL AVIV. – La rottura delle tregua a Gaza, con la ripresa di lanci di razzi palestinesi verso le citta’ israeliane di Beer Sheva, Netivot, Ashqelon ed Ashdod – ha messo il premier israeliano Benyamin Netanyahu davanti a tre scelte, diverse, ma tutte sgradite. La prima: accettare la guerra di logoramento e i lanci sporadici di razzi da Gaza verso le localita’ israeliane del Neghev, e continuare a negoziare al Cairo. La seconda: rispondere al fuoco palestinese con raid aerei di potenza crescente. Ma anche in questo caso la popolazione del Neghev sarebbe costretta nei rifugi per un periodo indeterminato. La terza: ordinare un’offensiva di vaste dimensioni nell’intento di spazzare via una volta per tutte la leadership politica e militare di Hamas. Costi quel che costi. In queste settimane Netanyahu, che era sembrato dare una chance ai negoziati del Cairo, ha proceduto con qualche esitazione. Alla luce del suo comportamento passato, nessuna delle opzioni che ha di fronte sembra rispondere alle sue aspettative. Il richiamo della delegazione israeliana al Cairo è stato pressoché automatico. Nessuno nel governo israeliano può accettare una situazione in cui mentre si discutono le modalità di una tregua le città israeliane sono esposte ad attacchi. Assuefarsi a questo stato di cose, viene spiegato, metterebbe nelle mani di Hamas un’arma spettacolare. Gli dischiuderebbe la possibilità di attaccare Israele a piacimento per spuntare migliori condizioni della tregua. Il richiamo degli emissari era dunque obbligato. Ma anche l’opzione dello ”stillicidio” di razzi da Gaza verso Israele – in assenza di un’intesa al Cairo – non e’ accettabile per Netanyahu. Ancora nei giorni scorsi la popolazione del Neghev – che conta decine di migliaia di sfollati – ha dimostrato a Tel Aviv denunciando di trovarsi in condizioni di insicurezza, anche dopo la operazione Margine Protettivo. Chi abita a ridosso di Gaza in queste settimane deve drammaticamente decidere se restare a casa – rischiando la vita – oppure trasferirsi altrove. La collera verso il governo sta montando. Netanyahu non puo’ abbandonare questa popolazione al suo destino, priva di prospettive concrete. Lo ”stillicidio” deve cessare. Resta allora la terza opzione, quella della operazione in profondita’ a Gaza che dovrebbe abbattere il regime di Hamas. Netanyahu finora ha resistito ai richiami di quanti nel governo gli consigliavano di premere sull’acceleratore. Nell’operazione Margine Protettivo, è la percezione degli interventisti, e’ stato sempre Hamas a prendere l’iniziativa e ad alzare di volta in volta la posta; Netanyahu si e’ limitato a reagire. L’ingresso in forze dell’esercito israeliano nel cuore di Gaza e’ sicuramente per lui un incubo. Sia per le perdite che prevedibilmente l’esercito israeliano patirebbe, sia perche’ al termine del conflitto Israele si troverebbe costretto a gestire Gaza – dopo averla lasciata volontariamente nel 2005 – oppure ad affidarla a terzi. Messo alle strette dai missili lanciati oggi da Hamas, oggi Netanyahu ha ordinato raid aerei su zone disabitate di Gaza e non ha annunciato la fine delle trattative al Cairo. Fra le righe, fra le cose non dette e quelle sussurrate, ha lasciato comprendere alla controparte che se entro un paio di giorni la situazione si calmasse, le proposte egiziane (che in definitiva non gli dispiacciono) potrebbero essere nuovamente prese in esame. (di Aldo Baquis/ANSA)

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