Obama pensa a nuove mosse contro l’Isis. Onu, paura per nuovo assedio

NEW YORK. – La strategia degli Usa contro lo Stato islamico in Iraq e nel Levante è “a lungo termine”, ha affermato Obama: per questo, la sua amministrazione si prepara a chiedere al Congresso un’autorizzazione ampia all’uso della forza a tempo indeterminato, mentre dall’Iraq arriva l’allarme per un’altra emergenza, per salvare altre migliaia di persone strette dall’assedio dei jihadisti dell’Isis, che rischiano di essere massacrate. La città di Amerli, nel nord-est dell’Iraq, da due mesi e’ circondata dalle forze dell’Isis, ed e’ allo stremo, ha ammonito oggi con forza l’inviato dell’Onu a Baghdad, Nicolay Mladenov. Amerli ha 20.000 abitanti, in gran parte membri di un’altra minoranza, quella turcomanna sciita. “La situazione ad Amerli è disperata. Richiede un’azione immediata, per prevenire possibili massacri dei suoi cittadini”, ha detto Mladenov, sottolineando che la popolazione locale e’ sottoposta a sofferenze “indicibili”. A causa dell’assedio, scarseggiano cibo, acqua e molti altri generi di prima necessita’. Non ci sono al momento indicazioni di una imminente azione di soccorso da parte di Baghdad, scossa peraltro oggi da un attacco suicida alla sede dei servizi segreti che ha causato otto morti. Mentre a Kirkuk, in mano ai curdi, l’esplosione simultanea di tre autobomba ha ucciso almeno 20 persone e ne ha ferite 65. Ne’ operazioni per Amerli sembrano previste per ora da parte delle forze Usa. Anche se, secondo quanto ha riferito al Washington Post un alto funzionario dell’amministrazione, il team del presidente Obama sta esaminando una serie di piani per azioni più incisive contro i jihadisti dell’Isis. Una vasta “gamma di opzioni”, che riguardano anche il fronte politico, in cui gli Usa spingono affinché l’Iraq rimanga unito ma sulla base di un “federalismo che funzioni”, come ha ribadito anche oggi dalle pagine del Washington Post il vicepresidente Joe Biden, sostenitore della necessita’ di creare tre regioni largamente autonome, attribuite a sciiti, sunniti e curdi. Ma sul piano politico l’amministrazione Obama deve fare i conti anche con un fronte interno. Anche perche’ la decapitazione del giornalista americano James Foley potrebbe aver segnato un punto di svolta per gli Usa. Il suo assassinio “rappresenta un attacco terroristico contro il nostro Paese”, ha detto tra gli altri il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Ben Rhodes, sottolineando che, contro i tagliagola, gli Usa non si fanno “limitare dalle frontiere”. Dunque lasciando intuire la possibilità di azioni anche in Siria. Ma i raid aerei Usa in corso dall’8 agosto – cosi’ come il fallito blitz in Siria per tentare di liberare Foley e altri ostaggi americani – avvengono sulla base della ‘War Powers Resolution’, che autorizza nell’arco di 60 giorni azioni di emergenza per proteggere cittadini Usa. Di fatto, quindi, fino ai primi di ottobre. L’amministrazione, ha detto l’alto funzionario, sta quindi considerando di avere una ampia “discussione con il Congresso” per avere l’autorizzazione a combattere contro l’Isis senza problemi di tempo. Ovvero, un semaforo verde simile a quello del 2001 contro al Qaida e del 2002 contro Saddam Hussein. Fermo restando che di “truppe sul terreno” non se ne parla. Un’azione più incisiva degli Usa e della comunità internazionale e’ assolutamente necessaria, ha del resto ribadito ancora oggi il ministro degli esteri iracheno Hoshyar Zebari. L’Isis, ha affermato, rappresenta una minaccia globale, oltre che all’integrità e alla sopravvivenza dell’Iraq. E pertanto, ha affermato, “noi non chiediamo aiuto solo agli Stati Uniti. Chiediamo ai nostri vicini, ai nostri alleati europei, alle Nazioni Unite e al mondo arabo e islamico di unirsi a noi contro questa forza assassina che minaccia di sprofondarci nell’oscurità”.  (di Stefano de Paolis/ANSA)