Iraq: rotto l’assedio dell’Isis ai turcomanni di Amerli

ROMA. – Due mesi. I 20mila abitanti turcomanni sciiti di Amerli, località situata circa 160 chilometri a nord di Baghdad, hanno resistito per due mesi all’assedio jihadista dello Stato islamico (Isis). Hanno sopportato la fame, la sete, le stragi e le esecuzioni di massa. Hanno combattuto. E oggi hanno visto entrare nelle strade della loro città la salvezza. I soldati del governo centrale iracheno, affiancati dai combattenti curdi e appoggiati dai bombardamenti aerei americani e governativi, sono infatti riusciti a sfondare le linee jihadiste e a spezzare l’assedio. “E’ un successo molto importante”, ha esultato il generale Qassem Atta, pur ammettendo che in alcune zone della città si continua a sparare. Tutti i villaggi che circondano Amerli sono stati completamente liberati ed é cominciata la distribuzione degli aiuti umanitari. Già ieri Stati Uniti, Australia, Francia e Gran Bretagna avevano paracadutato oltre 40.000 litri di acqua potabile e 7.000 razioni di cibo. Nella notte altre tre tonnellate di aiuti, anche medicinali e attrezzature sanitarie di base, erano state lanciate dai francesi. La situazione non é però ancora stabilizzata e, mentre sul terreno i soldati cercano di mettere in sicurezza la città strada per strada, gli Usa continuano a bombardare i dintorni laddove viene ancora segnalata una più o meno consistente presenza di jihadisti dell’Isis. Avviato lo scorso 8 agosto, l’appoggio aereo americano ai governativi e ai curdi iracheni aveva già giocato un ruolo fondamentale nella riconquista della strategica diga di Mosul. Nel primo intervento militare di Washington in Iraq dal ritiro delle proprie truppe alla fine del 2011, gli aerei Usa in poco più di venti giorni hanno ufficialmente compiuto 120 raid contro le postazioni dei jihadisti dell’Isis dopo che le Nazioni Unite avevano accusato le milizie radicali di “pulizia etnica” nei confronti di tutte le minoranze, dagli yazidi ai cristiani, ai turcomanni di Amerli. Solo nel mese di agosto 850mila iracheni sono andati ad ingrossare le fila dei profughi e degli sfollati interni, portando il totale dei civili costretti ad abbandonare le loro case a più di un milione e 600mila. Un mare di disperati che possono solo sperare in un più deciso intervento della comunità internazionale a fianco delle fragili autorità irachene, sotto attacco anche oggi a Ramadi, dove due autobomba hanno fatto decine di vittime tra le forze speciali. La decisione di consegnare armi ai curdi, l’unica realtà militare oggi realmente organizzata in Iraq e in grado di fronteggiare i sanguinari combattenti dell’Isis, é considerata solo un inizio. Anche perché il fondamentalismo islamico, che oltre alla Sharia applica sistematicamente la “legge del terrore”, continua a colpire in tutte le aree dove sono presenti gruppi che si ispirano ad al-Qaida o ne sono diretta emanazione. Solo oggi vi sono stati attentati e attacchi di matrice integralista in Somalia, Yemen e Nigeria. In particolare nel paese del Corno d’Africa gli Shabaab hanno dato l’assalto al quartier generale e a un carcere di massima sicurezza dei servizi segreti a Mogadiscio. Sono stati respinti dopo furiosi combattimenti ma sul terreno sono rimasti, oltre a sette attaccanti, anche tre uomini della sicurezza e un civile. Nello Yemen sono entrati in azione i guerriglieri di Aqba (al Qaida nella penisola arabica): due autobomba e l’assalto a una postazione dell’esercito hanno causato la morte di undici soldati e il ferimento di altri 17. Infine nella Nigeria settentrionale al confine con il Camerun i terroristi Boko Haram hanno continuato i massacri indiscriminati dei civili nell’ultima città conquistata, Gamboru Ngala. “Ammazzano le persone come fossero polli – ha raccontato un sopravvissuto – violentano e rapiscono le ragazze, saccheggiano e bruciano tutto. Si può solo fuggire”.  (di Rossella Benevenia/ANSA)

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