Siria: i giornalisti arabi, vittime dimenticate

BEIRUT  – Non decapitati ma freddati con colpi di arma da fuoco alla testa, torturati a morte, sequestrati e mai più tornati a casa: sono le centinaia di giornalisti e fotografi arabi, per lo più siriani, uccisi nelle violenze in corso in Siria e molto spesso dimenticati dai grandi media, più attenti a raccontare le storie dei reporter occidentali morti nel martoriato Paese mediorientale.

Secondo l’Ordine siriano dei giornalisti, formato da operatori dell’informazione non allineati al regime di Damasco, dal 2011 a oggi sono stati uccisi 244 cronisti e fotoreporter, siriani e arabi. Ben quattro, tre siriani e un egiziano, sono morti nel giugno scorso. Reporters Sans Frontiers conta decine di giornalisti locali uccisi dall’inizio dell’anno. Il regime siriano e i jihadisti dello Stato islamico sono indicati dalle fonti come i principali mandanti ed esecutori di questi crimini.

Una delle vittime, il 21enne Mutazbillah Ibrahim, lavorava a Raqqa, nel nord, come reporter per il gruppo editoriale Shaam quando membri dello Stato islamico lo hanno rapito, torturato per due mesi e poi giustiziato il 4 maggio scorso. La salma è stata consegnata alla madre tre giorni dopo l’uccisione.

Ahmad Hasan Ahmad, aveva 29 anni e lavorava come fotografo per l’agenzia di notizie cinese Xinhua. E’ morto a Damasco in circostanze mai chiarite colpito da colpi di arma da fuoco alla testa il 4 giugno 2014. Il suo collega egiziano, il reporter Nuri Abdellatif, era arrivato nella capitale per seguire i festeggiamenti per la “rielezione” del presidente Bashar al Assad. E’ stato colpito a morte da un colpo di mortaio sparato da miliziani contro un corteo lealista.

Il 27 giugno scorso è stato invece ucciso a Daraa, nel sud della Siria, Muhammad Taani, reporter dell’agenzia di notizie locale Smart. Si è spento dopo sei giorni di coma passati in un ospedale giordano dove era stato ricoverato per le ferite riportate durante un bombardamento aereo del regime.

I jihadisti dello Stato islamico hanno ucciso nel giugno scorso Bassam Rayyes, 27 anni, che lavora come reporter nelle zone attorno a Damasco solidali con la rivolta. Il suo corpo, con segni di tortura e un foro di arma fa fuoco al petto, è stato ritrovato il 30 del mese assieme ad altri corpi senza vita in un’abitazione alla periferia nord-orientale della capitale, dove si erano acquartierati i jihadisti prima di ritirarsi cacciati da insorti locali.

E’ invece morto sotto tortura in una delle prigioni del regime il 33enne Muhammad al Khatib. Era stato arrestato l’8 gennaio 2012 a Damasco dopo che aveva incontrato membri della commissione d’inchiesta della Lega Araba, giunta in Siria in quel periodo. Torturato a lungo nel carcere di Saydnaya, vicino la capitale, Khatib è morto il 18 giugno 2014. La salma non è mai stata consegnata ai suoi cari, che hanno ricevuto dalle autorità siriane solo la carta d’identità del giovane reporter.