Ecco il piano di Obama, la guerra contro l’Isis durerà almeno 3 anni

NEW YORK. – Una campagna in tre fasi per “indebolire e infine distruggere” le forze jihadiste in Iraq e in Siria. Un’offensiva militare e politica che durerà almeno tre anni e molto probabilmente destinata a concludersi quando Barack Obama non sarà più presidente. Il piano anti-Isis è pronto. Il Commander in Chief si appresta a presentarlo al Congresso dettagliando per la prima volta la sua strategia, dopo tante settimane di polemiche sulla presunta mancanza di direzione da parte della Casa Bianca. Poi mercoledì, alla vigilia dell’anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001, il discorso alla nazione in diretta Tv. Un discorso difficile, a cui Obama sta lavorando oramai da giorni e col quale dovrà convincere un’opinione pubblica dubbiosa della necessità di agire, anche militarmente, contro l’avanzata dell’estremismo islamico nella regione mediorientale. E per fermare una violenza cieca dei jihadisti che finora – è l’ultima denuncia dell’Onu – ha portato dall’inizio dell’anno all’uccisione o alla mutilazione di almeno 700 bambini, anche nell’ambito di esecuzioni sommarie. Al tempo stesso Obama dovrà rassicurare gli americani che il Paese non verrà trascinato in una nuova guerra in Iraq, come nel 2003. Del resto – come sottolinea il New York Times – si tratta di una campagna senza precedenti. Niente a che vedere con le operazioni antiterrorismo in Yemen o in Pakistan, limitate a colpire con i droni i leader dei gruppi terroristici. Niente a che vedere con la guerra in Afghanistan e con la precedente guerra in Iraq, con il coinvolgimento di truppe sul campo. E la situazione è diversa anche dal conflitto del Kosovo nel 1999, quando il presidente Bill Clinton e la Nato concentrarono la loro offensiva in appena 78 giorni, o dai raid che in Libia portarono alla caduta del regime di Gheddafi, con gli Usa che rimasero defilati. Stavolta gli Stati Uniti giocheranno un ruolo centrale, di leadership nella vasta coalizione che sta nascendo, dagli alleati della Nato ai Paesi della penisola arabica, passando per la Giordania, l’Egitto e – anche se nessuno lo ammette esplicitamente – l’Iran. E i tempi non saranno brevi, almeno 36 mesi, con i raid aerei che serviranno a indebolire le forze del ‘califfo’ e a sostenere le truppe sul campo, che saranno solo irachene, curde e siriane. La prima fase di questa campagna è già iniziata, ed è proprio quella dei bombardamenti dei caccia e dei droni Usa, che già conta 145 operazioni: avviata in Iraq con l’obiettivo dichiarato di prevenire massacri e crisi umanitarie e di difendere il personale Usa, ha già indebolito le forze jihadiste e, nelle ultime ore, è stata estesa a difesa di centri strategici come la diga di Haditha, nell’ovest del Paese. E i raid potrebbero ben presto riguardare la Siria, dove si trovano le principali roccaforti dell’Isis, con la città di Raqqa che è stata dichiarata capitale dello stato islamico. La seconda fase – scrive il Nyt – si aprirà invece con la costituzione del nuovo governo iracheno, probabilmente già questa settimana. Un governo più inclusivo che permetterà agli Usa e ai suoi alleati di concentrarsi sull’addestramento e sull’equipaggiamento delle forze militari irachene, dei combattenti curdi e di alcuni gruppi sunniti. Saranno fornite armi e munizioni ed altre attrezzature militari, che costeranno uno sforzo maggiore in termini finanziari. Con Obama – scrive il Wall Street Journal – che si appresta a chiedere al Congresso di approvare velocemente la proposta da lui presentata la scorsa primavera, quella di uno stanziamento di ulteriori 500 milioni di dollari per addestrate e armare i ribelli siriani pro-occidentali. Infine la terza fase, quella dell’offensiva finale per annientare lo stato fondato dal califfo al Baghdadi. Ci vorranno non meno di tre anni per raggiungere questo risultato, spiegano gli esperti al Nyt. E Obama che doveva chiudere la stagione dei conflitti si ritroverà suo malgrado a lasciare la Casa Bianca con una guerra in corso. Intanto a Baghdad si registrano almeno 18 morti dopo due attentati suicidi organizzati dall’Isis e una serie di scontri che ne sono seguiti ad Al Dhuluya, circa 50 chilometri a nord della capitale. E mentre la Lega araba chiede uno stop alle forniture di armi alle milizie ‘illegittime’ in Libia da parte di Paesi stranieri, uno studio londinese mostra come l’Isis – ironia della sorte – combatta anche con armi americane, quelle sottratte alle forze irachene o ai gruppi anti-Assad in Siria. (Ugo Caltagirone/Ansa)

 

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