Non si spengono i riflettori della magistratura sulla casta

ROMA. – L’inchiesta della Procura di Bologna, che ha tirato in ballo anche candidati alle primarie per la presidenza della Regione – dopo le dimissioni di Vasco Errani per il filone ‘spese pazze’ – accende di nuovo i riflettori sulle tante indagini che nel corso degli ultimi anni hanno interessato la costellazione italiana dei governi regionali. Seguite in molti casi, è il caso di ricordarlo, da sentenze di condanna che sovente hanno scatenato l’ira dei normali cittadini contro le piccole ‘caste’ territoriali. La vicenda recente degli 8 consiglieri regionali del Pd dell’Emilia Romagna, già allargata ad altri gruppi, evidenzia quindi due aspetti particolari: da una parte il fatto che nell’inchiesta per peculato siano stati coinvolti due possibili eredi alla poltrona di governatore, come Stefano Bonaccini e Matteo Richetti (che però ieri ha annunciato il ritiro); dall’altra per il persistere di una natura di reato scoppiata agli onori delle cronache nel 2012 con la storia di Franco Fiorito (detto ‘Batman’), ex capogruppo Pdl in Regione Lazio, condannato poi a 3 anni e 4 mesi di reclusione e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Uno scandalo che convinse l’allora governo Monti a varare il decreto 174, che prevedeva in sostanza un controllo preventivo di legittimità, da parte della Corte dei Conti, sulla gestione finanziaria delle regioni. L’inchiesta della Procura di Bologna, tuttavia, aggiunge l’ennesimo tassello a un quadro regionale funestato da più di un’indagine promossa dalla magistratura, nel quale finora sono incappate quasi tutte le regioni italiane. Il lungo elenco può partire, temporalmente, proprio dall’Emilia Romagna e dalle recenti dimissioni del presidente Vasco Errani, presentate dopo la condanna in appello a 1 anno di reclusione per falso ideologico nell’ambito del processo Terremerse. Ma tra i casi più recenti e famosi è annoverabile quello che ha riguardato il governatore della Lombardia Roberto Formigoni, accusato di corruzione aggravata nel caso della Fondazione Maugeri. Ma le inchieste hanno riguardato anche la Regione Piemonte, guidata da Roberto Cota, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e quello della Calabria, Giuseppe Scopelliti (che ha dovuto lasciare il suo scranno di presidente della Regione Calabria). E’ tuttavia giusto ricordare come nel mirino delle Procure però siano caduti il più delle volte soprattutto consiglieri e assessori, com’è accaduto in Sardegna, con l’inchiesta bis sui fondi ai gruppi (ma l’isola su questo fronte avrebbe conseguito un triste primato, visto che già nel 2009 fu aperta un’inchiesta, su denuncia di una dipendente del Gruppo Misto, sull’utilizzo delle risorse destinate al Consiglio Regionale), con tanto di acquisti non contabilizzati e fatture false. Una situazione che ha visto recentemente tra gli indagati anche la candidata Pd alla presidenza della Regione Francesca Barracciu, poi ritiratasi. Ma anche in Abruzzo (con ‘Rimborsopoli’, che ha interessato il presidente della Regione, Gianni Chiodi, e il presidente del consiglio, Nazario Pagano), in Campania (ancora ‘spese pazze’, che però non ha toccato il presidente Stefano Caldoro), Liguria (anche qui per spese indebite, coinvolgendo 15 consiglieri), Molise (anche in questo caso per i costi sostenuti dai gruppi consiliari) e Friuli (rimborsi spese). Stessa cosa in Sicilia, anche qui per un’inchiesta per le spese pazze. Non e’ stata esente da indagini neanche la piccola Val d’Aosta, con un’operazione trasversale nata per i rimborsi spese relativi al 2009 e 2010. Ma inchieste, anche se conoscitive, hanno interessato regioni da sempre fuori dai riflettori, come le Marche (per spese non giustificate per 300 mila euro fatte nel periodo 2008-2011) e l’Umbria (anche in questo caso per problemi legati a ‘pezze giustificative’ dei gruppi consiliari). E la Basilicata, dove lo scorso anno sono stati indagati 40 politici, compresi i vertici della Giunta e del Consiglio, tra cui l’ex governatore Vito De Filippo.