Bartali più che campione eroe e giusto

ROMA. – Ancor più che un grande campione di ciclismo Gino Bartali fu un eroe, un giusto, e soprattutto uno che non amava far sapere le sue gesta. ‘My Italian Secret. Gli eroi dimenticati’ film documentario di Oren Jacoby, evento speciale in apertura del Festival Internazionale del Film di Roma, racconta appunto il suo coraggioso impegno a favore degli ebrei perseguitati. E’ lui il vero protagonista di questo film dove ci sono le testimonianze del figlio Andrea Bartali e di personaggi testimoni e vittime come Riccardo Pacifici, Pietro Borromeo, Gaia Servadio, Charlotte Hauptman, Piero Terracina, Ursula Korn Selig, Ugo Sciamanno, Mercedes Virgili, Grazia Viterbi, Giorgio Goldenberg, Wanda Lattes e Suor Benedetta. Il tutto con la voce narrante di Isabella Rossellini. Di scena insomma non solo il racconto del ciclista Gino Bartali, ma anche del medico Giovanni Borromeo che si inventò addirittura un morbo (il morbo k) nel suo ospedale romano sull’Isola Tiberina per rifugiare ebrei ‘contaminati’ e così protetti dalla paura di questa malattia. Ma, come si sa, furono tanti gli italiani che lavorarono segretamente per salvare ebrei e fuggiaschi dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Bartali, il vincitore del Tour de France del 1938, lui che era per il fascismo ”il campione ariano” fece centinaia di viaggi trasportando documenti falsi nascosti nel telaio della sua storica bicicletta Legnano e nascose anche un’intera famiglia nella sua cantina. ‘My Italian Secret’ segue anche con ritmo e la giusta discrezione il ritorno in Italia di alcuni dei sopravvissuti che raccontano le loro storie e ringraziano le persone che offrirono la loro vita per salvare degli sconosciuti. Un modo per rivedere quei luoghi ed esorcizzare antiche paure.  La cosa che comunque spicca di più in questo film-documentario è il rispetto del figlio di Bartali, Andrea, verso il padre ancora oggi. Con grande umiltà Andrea parla del lascito paterno di quelle vicende. ”Un giorno mio padre mi ha raccontato cosa aveva fatto per gli ebrei subito dopo le leggi razziali fasciste -, ma la cosa che mi raccomandò più volte è di aspettare a comunicare queste cose. Mi diceva, ci sarà un momento giusto nel quale capirai che sarà giusto dire queste cose. E aggiungeva:’il bene si fa ma non si dice”’. Divertente, infine, come il regista è arrivato a fare questo lavoro. ”Vivo a New York e da 20 anni vado a tagliarmi i capelli sempre dallo stesso barbiere, Salvatore Macri. Salvatore non si occupa solo dei miei capelli, ma anche della mia mente. Insieme parliamo molto, delle nostre vite e dei film che ci piacciono. Un giorno – dice Oren nelle sue note di regia -, mentre mi stavo alzando dalla sedia mi ha presentato l’uomo che stava per sedersi al posto mio: si trattava di Joseph Perella, un finanziatore. Salvatore doveva aver detto qualcosa sul fatto che ero stato nominato all’Oscar (Constantine’s Sword nel 2007). ‘Che coincidenza!’ disse Joseph, ‘mi serve un regista’. Nessuno dei due aveva idea delle coincidenze che avremmo poi ritrovato man mano che ci conoscevamo. Così è nato il progetto”. (Francesco Gallo/ANSA)

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