Iran, nessun perdono per Reyhaneh. Non vuole smentire il tentato stupro

ROMA. – Appesa ad un filo più che mai la vita di Reyhaneh Jabbari, la giovane iraniana condannata all’impiccagione per aver ucciso un uomo che avrebbe tentato di violentarla. In un ultimo incontro con i familiari della vittima, le è stato infatti negato il perdono richiesto, necessario per commutare la pena in detenzione. A riferire dell’incontro la versione in persiano del sito “notonemoreexecution.org”. Era l’ultima possibilità per la giovane donna, per la quale l’esecuzione è stata rinviata più volte, in aprile ed a fine settembre. Il perdono è parte integrante del diritto iraniano, che prevede che il condannato paghi alla famiglia della vittima “un prezzo del sangue” (“diyeh”) se questa acconsente alla revoca della pena capitale. Ma il figlio della vittima ha negato il perdono perchè vuole che la ragazza smentisca il tentativo di violenza, restituendo così l’onore alla memoria del padre. Una smentita che però la ragazza non ha voluto dare. Il presidente dell’europarlamento Martin Schulz ha scritto nei giorni scorsi una lettera al presidente del parlamento iraniano Ali Larijani, esprimendo la “grave preoccupazione” dell’assemblea. Nella missiva emersa nelle ultime ore Schulz ha chiesto per la giovane “un trattamento umano nel rispetto del diritto internazionale”.  Secondo l’autorevole quotidiano moderato Hamshari, quello reso noto mercoledì è il secondo di due incontri tra i familiari della vittima e quelli di Reyhaneh, e stavolta era presente anche la stessa giovane. Ma il giudice interpellato dal quotidiano ha riferito che proseguono ancora i tentativi per ottenere il perdono. La vicenda della giovane è stata complicata, emerge ancora dal quotidiano, da una serie di falsità che sarebbero state pubblicate sul caso e da un clima antigovernativo alimentato da alcuni siti. All’incontro, ha confermato al sito di Radio Vaticana Taher Djafarizad, portavoce dell’organizzazione “Neda Day”, erano presenti due esponenti del governo iraniano, i genitori e l’avvocato di Reyhaneh, e il figlio maggiore della vittima. La madre di Reyhaneh ha supplicato l’uomo di perdonare la figlia, ma questa, ha sottolineato Djafarizad, “preferisce essere impiccata che dire una bugia”. Reyhaneh era stata arrestata nel luglio 2007, quando aveva 19 anni, per aver ucciso con una coltellata alla schiena l’ex funzionario dell’intelligence Morteza Sarbandi, che l’avrebbe condotta in un appartamento disabitato. Per la sua salvezza è partita una campagna su Facebook che ha raccolto 200 mila adesioni, si sono mobilitate organizzazioni come Amnesty International e vi è anche l’attenzione dell’Onu e della Ue, mentre il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha di recente auspicato che la sentenza sia riesaminata nel rispetto delle procedure iraniane. Nel sostenere che “la repentina accelerazione” degli eventi “è sicuramente motivata” dalla volontà di Teheran di mettere l’opinione pubblica internazionale di fronte al fatto compiuto, il senatore del Pd Lodovico Sonego ha dichiarato in una nota che “è decisivo” proseguire la “mobilitazione internazionale” anche “in queste ore”. In un ultimo tentativo di convincere la famiglia dell’ucciso al perdono, i parenti di Reyhaneh – la cui madre è una nota attrice di teatro – avevano promesso di istituire una fondazione intitolata alla vittima e di radunare i personaggi dell’arte e dello spettacolo in un evento pubblico in sua memoria. La stessa ragazza aveva scritto una lettera alla famiglia di Sarbandi, chiedendo perdono per il dolore arrecato a ciascuno di loro. Ma la contropartita richiesta dai familiari, evidentemente, è per lei troppo alto.