Auguri Gigi Riva, eroe di un calcio fatto di gol e onore

ROMA. – Lo chiamavano Rombo di Tuono, metteva l’onore sopra ogni cosa. Per celebrare i 70 anni di Gigi Riva, che taglia venerdi’ il traguardo, ci vorrebbero davvero la poesia del suo amico De Andre’ e l’inventiva del suo cantore Gianni Brera. Perche’ se c’e’ stato in Italia un calciatore che si e’ avvicinato alla figura dell’eroe eponimo, riuscendo pero’ a restare un uomo, quello è Giggirriva come lo chiamano i suoi ‘corregionali’ sardi. Che lo venerano da quando, nel 1963, arrivo’ sull’Isola: doveva rimanere al massimo un paio di stagioni, per sfruttarla quale trampolino di lancio, e invece non se n’e’ piu’ andato. “Perche’ qui – spiego’ a chi gli chiedeva il motivo di una scelta controcorrente – io che in pratica non avevo famiglia, ne ho trovate tante”. E’ rimasto, nonostante le grandi squadre lo abbiano inseguito e l’allora presidente juventino Boniperti ne avesse fatto quasi una malattia: lo inseguiva con offerte straordinarie, lui continuava a dire no e a segnare in rossoblu’. Divento’ un simbolo dell’uomo libero e orgoglioso, al punto che persino il latitante Mesina, travestito da frate, come racconto’ all’Ansa, lo andava a vedere al vecchio stadio Amsicora, soggiogato dalle giocate e dalla personalita’ di Riva. Ma al di la’ del suo orgogliosissimo essere un sardo nato sulle rive del lago Maggiore, Riva e’ diventato presto un idolo per tutta Italia. Per la maniera dirompente di segnare (mai un gol d’astuzia, sempre grandi reti di testa o con il suo leggendario sinistro). E per quella generosita’ che lo portava a dare tanto a tutti, oltre a un paio di devastanti fratture alle gambe alla causa azzurra. Ha vinto poco, in relazione al moltissimo che valeva: e comunque uno scudetto con il Cagliari, quello storico del 1970, quanti ne vale di quelli conquistati dagli squadroni del continente? Infatti con il razzismo tollerato di quegli anni, i tifosi di questi club accoglievano i giocatori rossoblu’ chiamandoli ”pecorai, banditi”: perche’, inopinati ospiti, partecipavano finalmente a un banchetto al quale non erano mai stati invitati. Il merito principale di quella squadra rivoluzionaria e vincente, e i suoi compagni di allora (da Albertosi a Bobo Gori, gente che il calcio lo conosceva bene) gliel’hanno sempre riconosciuto, era di Riva. Nel cui palmares ci sono anche il campionato europeo vinto con la nazionale in finale a Roma nel 1968 (con un suo gol in sospetto fuorigioco, ma allora le moviole non c’erano e nessuno gliel’ha mai rinfacciato), tre classifiche dei cannonieri vinte, il record, tuttora imbattuto, di 35 gol in 42 gare in maglia azzurra. Per non parlare di un secondo e un terzo posto al Pallone d’Oro, quando quella classifica non era specchio dei desideri degli sponsor. Venerdi’, insomma, nel silenzio del protagonista, un’altra delle sue caratteristiche ‘tradita’ solo quando da team manager della nazionale doveva difendere i giocatori, compie gli anni un Fenomeno della storia del calcio. Ma a spegnere le candeline saranno in tanti, tutti quelli, molti milioni, che per una vita lo hanno amato. Perche’ rappresenta il calcio delle bandiere, quelle che conoscevano solo i colori di una squadra. Perchè la sua avventura ha l’anelito profondo del romanzo e del grande cinema (e infatti Pasolini e Zeffirelli lo volevano come attore) e non il ritmo sincopato dei tweet balotelliani. E soprattutto perche’ in un campetto spelacchiato, in uno spazio davanti a una scuola o addirittura per strada, illusi dalla leggerezza del pallone “SuperTele”, tutti quanti per un attimo abbiamo sognato di essere dirompenti come lui. (di Piercarlo Presutti/ANSA)