Doppia partita lavoro-Italicum, Renzi chiude su riforme

ROMA. – Rispettare il serrato timing predisposto sin dall’inizio del mandato e sul quale, oggi più che mai non sono ammesse deroghe. Corre su questo filo la duplice sfida di Matteo Renzi su Jobs Act e legge elettorale. Una sfida sulla quale il premier, cercando il delicato punto d’equilibrio sia tra due ali della maggioranza sempre più lontane (Ncd e sinistra Pd sul lavoro) sia tra i due patti paralleli sull’Italicum (quello tra i partiti che sostengono il governo e quello del Nazareno), intendere chiudere i conti con il voto rapido in Parlamento. Su due testi sui quali, ha ammonito ieri Renzi, le trattative sono chiuse. Come anticipato dallo stesso premier-segretario all’ultima direzione Dem, ora i nodi stanno venendo al pettine. Le scadenze incombono e il presidente del Consiglio intende andare avanti respingendo o schivando i freni imposti dalla minoranza Pd e da Silvio Berlusconi. Freni che, ad esempio, il premier ha evitato anche all’ultima direzione Pd, dando il proprio placet a non votare – come richiesto dalla minoranza – la sua relazione. Certo, ha ammesso oggi a La Stampa, la fatica, quasi l’insofferenza su certi riti non si attenua, sebbene la tentazione del voto per ora sia stata messa da parte. E, per il premier, non costituisce certo un freno quella piazza che, anche oggi e sotto il segno della Cgil, è tornata a ribollire. “La piazza si rispetta” ma “ascoltiamo anche le sigle sindacali che non ci stanno”, spiega oggi il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini, facendosi quasi portavoce del pensiero del suo segretario – in volo verso il G20 di Brisbane – e ammettendo quasi di non capire la portata delle contestazioni di Cgil e Fiom. Contestazioni che, per ora, sul fronte della sinistra Pd sembrano superate. Alla manifestazione Fiom di Milano, oggi, c’era anche Stefano Fassina, tra gli esponenti più intransigenti del dissenso Democrat, ma è lo stesso ex viceministro dell’Economia a non sbilanciarsi sull’intesa trovata in commissione Lavoro sul Jobs Act. “Aspetto di leggere gli emendamenti, il governo ha ammesso che non si poteva votare la fiducia su una delega in bianco ed è già un traguardo”, spiega Fassina, riflettendo quasi la prudenza degli altri big della sinistra – da Cuperlo a Civati – dopo l’intesa trovata ieri. Intesa che, invece, ha visto Area riformista protagonista della trattativa. Quella stessa area che, domani, a Milano, alla presenza di Pier Luigi Bersani, cercherà di certificare una posizione comune all’interno del mondo Democrat. E se oggi, sul fronte Jobs Act, e dopo le barricate di ieri, è stata la giornata del rientro della frattura con Ncd – lo stesso leader Angelino Alfano ha parlato di accordo in fase di conclusione – resta aperta, e destinata al dibattito parlamentare, la partita sulla legge elettorale. Renzi esclude ogni tipo di ulteriore negoziazione parallela, assicurando che per lungo tempo non ci saranno vertici di maggioranza e dicendosi certo, in un’intervista a La Stampa, che il testo passerà anche con l’astensione finale di FI. Il premio alla lista e la soglia del 3%, sebbene non inclusi nell’ultimo aggiornamento del Patto del Nazareno, non sembrano insomma messi in discussione – tra la soddisfazione di Ncd – mentre continua a destare qualche dubbio la blindatura dei circa cento capilista. E’ invece la minoranza Pd, da Francesco Boccia a Gianni Cuperlo, a manifestare più di una perplessità. Dubbi rimarcati anche oggi da Vannino Chiti. “E’ un errore, il 60% degli eletti sarebbe nominato, non scelto dai cittadini”, è il distinguo del senatore, tra i protagonisti del dissenso Dem al Senato sul ddl riforme. E anche sulla legge elettorale, a Palazzo Madama, si preannuncia bufera. Ma alla fine, è la convinzione di Renzi, anche quel testo passerà. Entro fine anno, proprio come il Jobs Act a Montecitorio. (di Michele Esposito/ANSA)

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