Renzi e il grande freddo con i sindacati, non si tratta

P.A: FARO SU MOSSE CISL E UIL DOPO VERTICE CON GOVERNOROMA. – Come le occupazioni studentesche: gli scioperi generali ricorrono a ogni autunno. Il paragone viene usato negli ambienti di governo per invitare a non drammatizzare il mese caldo delle piazze. Ma Matteo Renzi e i suoi ministri non sono più disposti a prestare il fianco a chi ancora lunedì, nell’incontro sulla P.a., ha mostrato di non voler cogliere “l’occasione” di una mano tesa. E’ questo il senso, viene spiegato, della decisione, che sarebbe stata condivisa da Giuliano Poletti con il premier, di non prendere la parola al congresso Uil. I fischi della platea, lo scontro verbale, segnano un nuovo picco di tensione tra governo e rappresentanze. Ma non producono nessun tentennamento a Palazzo Chigi. Al contrario. C’è un filo rosso che lega la decisione di Renzi di riaprire a ottobre (anche se con tempi ‘contingentati’ per fare “alla svelta”) la sala verde ai sindacati e la presenza in mattinata al congresso della Uil, all’indomani dell’annuncio dello sciopero generale, del ministro Poletti e del responsabile Economia e Lavoro del Pd Filippo Taddei. Ed è la volontà di testimoniare nei fatti che il governo, i sindacati li ascolta ed è aperto a prendere nota delle proposte nel merito. Con questo spirito, raccontano al Nazareno, la delegazione ‘renziana’ si è seduta nella platea della Uil: “Ci aspettavamo proposte e abbiamo sentito resistenza al cambiamento – spiega un esponente del Nazareno – Perché ci si può dire che vanno cambiati alcuni aspetti della nostra riforma, ma non si può bocciare senza appello ogni misura contenuta nel Jobs act e nella legge di stabilità, perché sorge il sospetto di un atteggiamento pregiudiziale”. I sindacati possono alzare la voce quanto vogliono, spiegano i parlamentari renziani: la risposta resta sempre la stessa. E cioè, come Renzi non si stanca di ripetere, che con i sindacati il governo “non tratta”, perché le leggi si scrivono in Parlamento. In parallelo resta però il rispetto, affermato a più riprese dal premier, per i lavoratori – tanti anche del Pd – che sciopereranno. E il Pd sopporterà i disagi, già messi in conto dai parlamentari, che lo sciopero generale del 12 dicembre provocherà all’assemblea del partito convocata il 13 a Reggio Calabria. Ma c’è la convinzione, esplicitata da Taddei, che “non vanno confuse le organizzazioni e i lavoratori, perché c’è un’interazione ma non sono la stessa cosa”. Ed è nell’interesse dei lavoratori, togliendo “alibi” alle imprese ma anche ai sindacati, che il premier è persuaso di muoversi con il combinato disposto di Jobs act e legge di stabilità. Di qui la volontà ferrea di andare avanti verso il traguardo dell’1 gennaio. Il passaggio parlamentare, viene messo in conto in ambienti di governo, sarà tutt’altro che facile. Perché, nonostante la mediazione raggiunta sulla delega lavoro sia largamente condivisa nei gruppi Pd, il battagliero fronte trasversale alla minoranza dem (da Civati alla Bindi) è determinato a non fare sconti. Nei prossimi giorni si farà sentire in commissione sulla manovra e lunedì potrebbe tornare a incontrarsi per valutare se e come votare in Aula sul Jobs act, senza escludere un no al testo. Ma del subbuglio parlamentare, raccontano, il premier non si mostra preoccupato: lo affronterà a tempo debito a viso aperto, assicurano. Ma nei prossimi giorni Renzi sarà piuttosto impegnato a tirare la volata finale al Pd nelle regionali in Emilia Romagna e Calabria, con i comizi di giovedì a Bologna e venerdì a Cosenza. Parlerà direttamente agli elettori di quel che il governo sta facendo, per far passare quel messaggio di speranza che ha avuto successo alle europee e da solo, è la convinzione al Nazareno, può contrastare il vero nemico: l’astensionismo. (di Serenella Mattera/ANSA)