Immigrati e sanità, scontro totale tra Obama e Congresso

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NEW YORK. – Tra Barack Obama e il Congresso è scontro totale. E poche ore dopo l’annuncio esplosivo del presidente americano sulla riforma dell’immigrazione, non si è fatta attendere la rappresaglia della destra: i leader parlamentari repubblicani hanno fatto causa a Obama sull’odiata Obamacare, portandola davanti a una corte federale di Washington e accusando il presidente di “abuso di potere” e violazione della Costituzione. La tensione tra le massime istituzioni dello Stato è altissima. E a questo punto il rischio – come scrive il Wall Street Journal – è quello che gli ultimi due anni di Obama alla Casa Bianca si trasformino in una vera e propria “guerriglia”, alimentata da una campagna elettorale per le presidenziali del 2016 oramai alle porte. La decisione di Obama di regolarizzare per decreto una parte degli immigrati irregolari non è nuova: lo fecero anche Ronald Reagan nel 1986 e George Bush senior nel 1990. Ma è certamente “senza precedenti”, sottolinea il New York Times, per quel che riguarda la portata. Con Obama, infatti, le porte del sogno americano si aprono per circa 5 milioni di clandestini, quelli che vivono da più di cinque anni negli Stati Uniti o hanno un figlio che è nato negli Usa o che è titolare di un permesso di soggiorno permanente. Queste persone non dovranno più temere i rimpatri forzati e potranno ottenere un permesso di lavoro di tre anni. Sempre che non si siano macchiati di reati. E in quest’ultimo caso ad essere colpiti saranno i singoli individui, ma non le famiglie. I repubblicani – nonostante il piano preveda anche una stretta sui controlli alle frontiere – gridano al colpo di mano di un Obama ormai trasformatosi (sono parole dello speaker della Camera John Boehner) in un vero e proprio “monarca”, un “imperatore” che ignora il volere del Paese e agisce senza attendere un Congresso appena rinnovato dal popolo americano. Le sue scelte, poi – attacca la destra – porteranno inevitabilmente a una nuova invasione di clandestini. “Non è un’amnistia di massa, ma si tratta di misure responsabili e di buon senso”, ha replicato il presidente parlando alla nazione in prima serata in diretta tv, mentre fuori dalla Casa Bianca si verificavano scene di entusiasmo che non si vedevano dal 2008, o dalla notte in cui fu annunciata la fine di bin Laden. “United We Dream” (uniti sogniamo), “Gracias Presidente Obama”, oppure “No Fear, Obama Is Here” (niente paura, Obama è qui), gli slogan della folla di immigrati, soprattutto ispanici. Intanto dalla East Room, davanti alle telecamere, Obama toccava le corde più profonde di un popolo: “Siamo sempre stati e saremo sempre un Paese di immigrati. Anche noi siamo stati stranieri una volta, e ciò che ci rende americani è la nostra adesione a un’ideale comune: quello che tutti siamo creati uguali”. La destra però non si commuove, e in attesa di capire come replicare sul fronte immigrazione, contrattacca su quello della riforma sanitaria. Nelle carte portate in tribunale accusano l’amministrazione Obama di aver “regalato illegalmente” alle compagnie di assicurazione circa 175 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni, nonostante tali risorse non siano state stanziate dal Congresso. E denuncia come sia stata illegalmente posticipata la clausola secondo cui le grandi imprese (quelle con più di 50 dipendenti) devono offrire una copertura sanitaria ai lavoratori a tempo pieno, pena il pagamento di sanzioni. Difficile che questa azione porti a qualcosa di concreto. E non è per nulla scontato che i repubblicani puntino davvero a uno scontro istituzionale senza precedenti. Se infatti l’ala più conservatrice del partito spinge per la linea dura minacciando l’arma dello shutdown che taglierebbe i fondi al governo, l’establishment teme che l’immigrazione diventi tema di scontro nella corsa alla Casa Bianca, con la destra che potrebbe di nuovo alienarsi l’elettorato latino. Non a caso un appello al Congresso, perché trovi un compromesso nei prossimi mesi, arriva da Jeb Bush, probabile candidato presidenziale. Così come dalla sua probabile avversaria democratica Hillary Clinton. (Ugo Caltagirone/Ansa)

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