Disoccupazione record oltre il 13%, senza lavoro in 3,4 milioni

DISOCCUPAZIONE RESTA AL TOP, DRAMMATICA PER GIOVANI

ROMA. – La disoccupazione in Italia balza al 13,2%, un nuovo massimo storico. E’ il peggior dato da quando sono iniziate le serie dell’Istat, ovvero dal 1977, quasi quarant’anni fa. Ma il Governo fa quadrato con il premier, Matteo Renzi, che sottolinea come il dato degli occupati negli ultimi mesi ”sta in realtà crescendo”. Dietro una percentuale, che rompe l’ennesimo argine, c’è una schiera di persone in cerca di lavoro che si ingrossa, arrivando a superare i 3,4 milioni. Tutti in fila ad aspettare un posto. In un solo mese, passando da settembre a ottobre, l’Istituto di statistica ha registrato 90 mila disoccupati in più (3mila al giorno). Un aumento in cui confluiscono due diversi identikit. Da una parte c’è una spinta che ha anche un aspetto positivo: si contrae l’area ‘grigia’ dell’inattività, con persone prima fuori dal mercato del lavoro ora pronte a parteciparvi. Dall’altra, invece, c’è un dato che non si offre a letture diverse: gli occupati tornano a calare, in altre parole c’è meno gente al lavoro. Fin qui gli ultimissimi dati, o meglio stime preliminari, sul mese di ottobre. Ma l’Istat dà anche conto del terzo trimestre, periodo per cui le cifre sono consolidate e soprattutto sono più confortanti, evidenziando un aumento dell’occupazione di oltre 120mila unità. Sempre tra luglio e settembre il ministero del Lavoro, anticipando lo studio sulle Comunicazioni Obbligatorie, rileva “un andamento positivo dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, pari ad oltre 400 mila nuovi contratti, con un aumento tendenziale del 7,1% rispetto ad un anno prima”. Numeri che fanno dire a Renzi: “I dati della disoccupazione ci preoccupano. Ma il dato degli occupati in realtà sta crescendo”. Certo, aggiunge il premier, la disoccupazione è un problema che non “ci fa dormire la notte” e chi nega la questione “è da ricoverare”, tuttavia non si possono negare i passi avanti. E, poi, spiega Renzi “molti ragazzi stanno tornando a iscriversi alle liste di disoccupazione”, magari ciò innalza il tasso ma è un è anche un indice di fiducia, perché si tratta di giovani che “pensano che stia ritornando la speranza, che si possa ripartire”. Il sottosegretario Graziano Delrio invita a guardare bene i dati, in particolare ai 122mila posti di lavoro in più registrati dall’Istat nel terzo trimestre: “Le chiacchiere stanno a zero, i posti di lavoro aumentano”. E anche se non basta, “c’è ancora molto lavoro da fare – ammette Delrio – però è la conferma che siamo sulla strada giusta”. Il mese di ottobre è arrivato come una doccia fredda, anche se per il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, non sono poi dati così inattesi: “Non mi sorprende, d’altronde basta guardarsi in giro”. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, cerca di fare il punto dopo la tempesta di cifre scatenata in mattinata: “I dati diffusi dall’Istat evidenziano come l’andamento del lavoro segua quello altalenante di un’economia dove i segnali di ripresa debbono ancora fare i conti con la coda di una lunga crisi che continua a riverberare i suoi effetti negativi sull’Italia e l’Europa”. Anche se il confronto con il Vecchio Continente non è molto d’aiuto, secondo Eurostat a ottobre l’Italia, tra i 18 Paesi dell’Eurozona, segna il maggior incremento nel tasso dei senza lavoro. Basti pensare, che sul fronte della disoccupazione giovanile, al 43,3% ad ottobre, fa peggio di noi solo la Spagna. Di “difficoltà del mercato del lavoro” si parla anche nella nota mensile firmata sempre dall’Istat, che sottolinea come gli occupati siano “nuovamente in diminuzione a ottobre”, in calo di 55 mila unità, “riassorbendo i segnali positivi degli ultimi due mesi”. Stime che non fanno altro che preoccupare i sindacati, con la Cgil che insiste sulla necessità di un “piano per il lavoro”, mentre per la Cisl i dati sono lo specchio di un “paesi in recessione”. Tra la mole di cifre c’è però un possibile varco, il ministero del Lavoro parla di un aumento dei pensionamenti del 55% nel terzo trimestre, dovuto soprattutto alle ‘uscite’ nella scuola (che avvengono proprio tra luglio e settembre). Potrebbe essere un primo segnale dell’assorbimento degli effetti della riforma Fornero in campo previdenziale: a oltre due anni dalle nuove regole i lavoratori più anziani cominciano a raggiungere i requisiti per andare in pensione. E quindi andrebbero ‘sostituiti’. (di Marianna Berti/ANSA)

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