Editoria: media Usa, il futuro è mobile e social

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ROMA. – Quale sarà il futuro dei media e soprattutto dove reperire nuove risorse economiche? A rispondere sono i più grandi colossi dell’informazione americana, dalla CBS al New York Times, a Roma per il convegno ‘The state and future of Media’, organizzato dal Centro Studi Americani. “Questi forse sono i tempi più turbolenti della storia della carta stampata – racconta il direttore del The Wall Street Journal, Gerard Baker -. Negli Stati Uniti gli introiti pubblicitari sui giornali sono calati del 65% in 10 anni. E non torneranno indietro, andranno sempre più verso i media digitali. Per questo è fondamentale trovare risorse alternative. Noi, ad esempio, abbiamo creato un nuovo modello di abbonamento digitale e pensiamo che proprio il digitale nei prossimi 10 anni sostituirà la carta stampata”. Alla CBS News, racconta l’amministratore delegato Jeff Fager, “un tempo si diceva che stampavamo quattrini. Oggi non siamo al verde, ma abbiamo dovuto rivedere alcune cose. La nostra filosofia è rendere interessante ciò che è importante, senza quei sondaggi per capire cosa piace al pubblico. Così abbiamo raccontato la ‘Guerra e fame’ in Siria e abbiamo fatto 18,5 milioni di spettatori. Però abbiamo iniziato anche a confezionare formule per i display mobili o per lo streaming, così si può vedere il servizio anche tornando a casa in treno”. Ma come attirare i giovani, sempre più bombardati dalla rete? “A fare la differenza – risponde Baker – sarà sempre più la qualità, l’accuratezza e i valori, che fanno dire che del mio giornale ci si può fidare”. “Le grandi piattaforme come Google – aggiunge Fager – se le lasciamo agire come ripetitori delle nostre notizie, facendoci estorcere anche introiti, non sono nostri alleati. Sta a noi fare in modo che il contenuto sia a disposizione solo di chi paga”. Con il digitale, però, a cambiare non è solo la fruizione delle notizie. “Oggi il giornalista – spiega il CEO di Bloomberg, Justin Smith – non è più solo produttore, ma anche distributore. Il suo lavoro si divide tra un 60% di tempo per titolo e articolo e un 40% per confezionarlo, promuoverlo ed estenderlo alla più ampia rete possibile. Questo è marketing”. E allora, esorta, “gli editori devono entrare nel ‘gioco dei dati'” raccolti da social e piattaforme. “Devono – dice – capire il comportamento degli utenti, indirizzare loro i contenuti o non saranno mai in grado di concorrere nel mercato pubblicitario. Serve puntare sulla qualità dei dati”. Persino una fonte storica come il New York Times conferma che la direzione del futuro è questa. “Nel 2012 – dice l’editorialista David Carr – abbiamo avuto più soldi dai consumatori che dalla pubblicità. E ora il 50% degli introiti arriva dalle App mobile. Non lo abbiamo deciso noi, ma il mondo”. Quindi, guai “a esser schiavo di Facebook: ognuno deve trovare la sua strada al consumatore – esorta Ed O’Keefe, vicepresidente della CNN Money and Politics – Noi abbiamo smesso di pensarci un’azienda televisiva, per essere un’azienda digitale. Perché il futuro è mobile e social. Se non ci sei, è il fallimento”. E l’Italia, ancora alle prese con il dibattito sui finanziamenti all’editoria e gli Over the top che prosciugano il mercato? “Colpisce l’apertura americana ai media – commenta all’Ansa il presidente di Confindustria Radio Tv, Rodolfo De Laurentiis -, però credo che anche nel nostro paese progressivamente si andrà nella loro direzione”. “Bisogna avere il coraggio di pensare in modo diverso – aggiunge l’editore Urbano Cairo -, cercare di essere media company in senso completo: tu hai i contenuti ed è il consumatore che decide come prenderli. Meglio attrezzarsi, prima che altri ci cannibalizzino”. (Daniela Giammusso/Ansa)

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