Fallisce il blitz contro al Qaida, muore l’ostaggio Usa

Luke Somers (nel riquadro l'appello di madre e fratello)

NEW YORK. – I jihadisti di Aqap, ramo di al Qaida nella Penisola arabica, avevano lanciato il loro ultimatum alcuni giorni fa in un video, minacciando di uccidere l’ostaggio americano Luke Somers, rapito nella capitale dello Yemen nel settembre del 2013. Così a Barack Obama non è rimasto che tentare di nuovo la carta dell’azione. Ma stavolta il raid che doveva servire a liberare il trentatreenne fotoreporter di origini britanniche si è concluso tragicamente con la sua morte. E con la morte di un secondo ostaggio, l’insegnante sudafricano Pierre Korkie, che nelle prossime ore sarebbe stato rilasciato dai terroristi. Un fallimento dunque che – come sottolineano alcuni osservatori statunitensi – mostra molti dei limiti della strategia della Casa Bianca, contraria all’invio di truppe di terra nella lotta all’Isis e ad al Qaida. I cosiddetti ‘boots on the ground’ a cui nella ‘dottrina Obama’ vengono preferiti i raid aerei e rischiosissime azioni mirate da parte di commando delle forze speciali. Ma in territori remoti, impervi e senza sostegno sul campo, non tutte le operazioni possono riuscire perfettamente come quella che nel maggio 2011 portò all’uccisione di Osama bin Laden nel suo fortino di Abbottabad, in Pakistan. Il presidente americano, che nelle prossime ore potrebbe finire al centro di nuove polemiche, si è subito assunto tutta la responsabilità del blitz fallito. “Ho dato io l’autorizzazione – ha spiegato – perché la vita di Somers correva un pericolo imminente”. Ed è dovere di un presidente fare tutto il possibile per salvare un cittadino americano. Tutto tranne che pagare riscatti, una linea questa che l’amministrazione statunitense non vuole assolutamente cambiare. In aperto scontro con i governi europei, che invece trattano – più o meno alla luce del sole – con i terroristi per la liberazione di ostaggi in cambio di denaro. “Li hanno assassinati”, ha detto Obama. Il capo del Pentagono, Chuck Hagel, ha spiegato che Somers e Korkie sono morti per le gravi ferite inferte loro dai terroristi, quando questi, nella notte tra venerdì e sabato, si sono accorti di essere sotto attacco. Dunque nessuna possibilità – almeno nella versione ufficiale – che i due ostaggi possano essere stati colpiti da ‘fuoco amico’ nel corso della battaglia scatenatasi nel compound in cui erano tenuti prigionieri, in un villaggio del sud dello Yemen. Portati via ancora in vita – raccontano al Pentagono – Somers e Korkie sono morti subito dopo mentre ricevevano le cure dei medici: uno su un aereo militare, l’altro su un mezzo anfibio della Us Navy al largo delle coste yemenite. Nel villaggio di Wadi Abadan sono rimasti uccisi anche alcuni jihadisti e almeno otto civili, mentre tra i feriti secondo i testimoni ci sarebbero anche alcuni bambini. L’attacco, infatti, è stato molto violento e condotto anche con l’uso di granate. Il piano, studiato per settimane nei minimi dettagli, è saltato quando un centinaio di uomini del commando – trasportati nella zona da elicotteri – era arrivato a meno di cento metri dalla prigione dei due ostaggi. Improvvisamente qualcosa è andato storto, e molto probabilmente un rumore – raccontano fonti del Pentagono – ha messo in guardia i jihadisti. Così l’effetto sorpresa è svanito rendendo tutto molto più difficile. E trasformando il raid in un tragico smacco. (di Ugo Caltagirone/ANSA)

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