Afghanistan: chiuso il carcere di Bagram, simbolo delle torture Usa

AFGHANISTAN: NUOVE FOTO SHOCK SOLDATI USA, IRA DI OBAMA / SPECIALE

NEW YORK. – E’ uno dei simboli delle torture e degli abusi compiuti dagli americani nel corso della ‘guerra al terrore’, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001: il carcere afghano nella base militare di Bagram. Ex officina di velivoli durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan negli anni ’80, Bagram chiude ora definitivamente i battenti. Come sottolinea il Pentagono, adesso gli Usa non hanno più né carceri né detenuti nel Paese asiatico. La notizia degli ultimi prigionieri che hanno lasciato il centro di detenzione di Bagram arriva all’indomani del rapporto del Senato Usa sulle torture della Cia. Gli orrori del carcere afghano, cui qualche tempo dopo seguirono quelli di Abu Ghraib in Iraq, vennero alla luce quando nel 2005 il New York Times fece uno scoop, pubblicando un rapporto dell’esercito di circa duemila pagine. Un rapporto in cui si svelava come nel 2002 alcuni militari-aguzzini uccisero due prigionieri civili afghani con metodi a dir poco brutali. Habibullah e Dilawar (quest’ultimo un tassista e agricoltore di 22 anni) furono appesi al soffitto con delle catene e barbaramente malmenati, picchiati a morte. I particolari sono agghiaccianti: furono entrambi colpiti con dei bastoni alle gambe, sotto il ginocchio (i cosiddetti ‘colpi peronei’). Nei referti stilati dopo l’autopsia si spiegava come i traumi subiti dalle due vittime era paragonabili all’essere schiacciati da un autobus. Dilawar – scrisse il Times – ripeteva urlando ‘Allah!” ogni volta che veniva colpito, provocando le risate dei suoi aguzzini. Dopo un’indagine interna, nell’ottobre del 2004 i vertici dell’esercito Usa incriminarono 27 tra ufficiali e personale arruolato per la morte di Dilawar, con capi d’accusa che vanno da inadempienza del dovere a mutilazione e omicidio colposo. Quindici degli stessi soldati furono anche accusati per il decesso di Habibullah. Ma Bagram fu teatro di molte altre torture. Come nel caso di Mohammed Sulaymon Barre, un profugo somalo che ha raccontato di essere stato sottoposto a diversi metodi brutali di interrogatorio, come quello di essere tenuto per diverse settimane in isolamento in una stanza al freddo, privato anche delle razioni di cibo necessarie. Alcuni di coloro che avevano condotto gli interrogatori a Bagram, ma mai incriminati, furono poi spediti in Iraq per prestare servizio nella prigione di Abu Ghraib, che divenne a sua volta teatro di torture e abusi ai danni di detenuti iracheni da parte delle forze di coalizione che avevano deposto Saddam Hussein.

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