Mattarella giura: “Io arbitro, ma aiutatemi. Avanti con le riforme”

Mattarella riceve onori militari al Quirinale

ROMA. – Un discorso emozionale, diretto alla pancia dei cittadini, a tratti brutale nell’almanaccare i problemi dell’Italia, ma denso di messaggi di speranza, di richiami alla Costituzione. Valori classici come la resistenza, il lavoro e la famiglia che si mischiano a suggestioni digitali, alla voglia di aggredire tabù tutti italiani come l’inefficienza della Pubblica Amministrazione. Ecco il “credo” di Sergio Mattarella, il nuovo presidente che, dopo aver giurato davanti al Parlamento, accetta e riempie di significato l’appellativo ambiguo di “arbitro”. Un arbitro della Repubblica, garante di tutti, di chi l’ha votato e di chi non lo ha voluto fare. Un “arbitro” che però ha bisogno dell’aiuto dei giocatori che il presidente non si vergogna di chiedere apertamente al Parlamento e alle forze politiche. “Correttezza, regole e legalità”, quindi per “riconnettere i cittadini alle istituzioni”. Niente “politichese”, neanche quando affronta il passaggio di maggiore attualità, quello delle riforme che – ha garantito – non solo sosterrà ma che devono essere compiute in fretta “per adeguare la nostra democrazia” agli standard europei. In tribuna la famiglia al completo che ascolta orgogliosa gli oltre trenta minuti di discorso e i 42 applausi che lo interrompono di continuo senza farlo smarrire. Ma il dodicesimo presidente della repubblica (“sobrio, silenzioso e riservato”, lo hanno dipinto alla vigilia) sembra aver deciso di “bucare il video” degli italiani nonostante quel tono monocorde e leggermente soporifero che lo caratterizza. E l’incipit del discorso è dirompente: mette subito “la Chiesa al centro del villaggio”, cioè il cittadino, disegnando difficoltà economiche ma anche le sue conseguenze esistenziali. Perche’ la crisi, spiega con efficacia, non è solo scarsezza di mezzi ma anche disagio interiore. “La lunga crisi ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo. Ha aumentato le ingiustizie. Ha generato nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine. Le angosce – spiega Mattarella ad una assemblea che “si spella le mani”, come ha resocontato “le Figaro” – si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi. Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali”. Ecco “l’agenda esigente”, avverte il neopresidente, “su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo” e per la quale lavorerà senza sosta nei prossimi sette anni. Per cancellare tutto ciò, angoscia e disagio della gente, non bastano politiche solo nazionali, premette rivelando una profonda sintonia di vedute con Matteo Renzi. Serve l’Europa, ma non l’Europa dell’austerity, dura e severa, serve qualcosa di più. “Per uscire dalla crisi va alimentata l’inversione del ciclo economico”, premette. “E’ indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo. Nel corso del semestre di Presidenza dell’Ue il Governo ha opportunamente perseguito questa strategia”, riconosce il capo dello Stato. Su questa strada bisogna insistere e c’è da giurare che Mattarella, così come fece Napolitano, si spenderà in ogni suo incontro internazionale. Se il capo dello Stato, coerente con la sua storia politica, strappa applausi a sinistra dedicando “un pensiero di amicizia alle numerose comunità straniere presenti nel nostro Paese”, subito dopo loda e striglia le nuove leve politiche chiedendo – senza mai citarli – anche al popolo cinque stelle di dare il loro contributo. “I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei. Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare”, riconosce Mattarella. Ma sono proprio loro in particolare a dover dare “un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l’essenza del mandato parlamentare”, cioè che “in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità”. La politica quindi “come servizio al bene comune”, scandisce il presidente e l’aula tutta l’applaude. Di questo centrifugato di “bastone e carota” un sorso va anche al Governo Renzi messo in guardia sull’uso abnorme di decreti: c’è “la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo” per garantire “una corretta dialettica parlamentare”. Ma il prolasso dei cittadini dalle istituzioni che più preoccupa il presidente e da qui il ritorno ai “comandamenti” della Carta: “Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità” e per questo “la lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute”. E così anche la “chiusa” del discorso torna alla necessità di “ricollegare” gli italiani alle loro istituzioni: “Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi”.  (Di Fabrizio Finzi/ANSA)

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