Venezuela: Industriali tra incudine e martello

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CARACAS. – Solo tre casi, per il momento. Comunque, hanno destato reazioni opposte. Coloro che simpatizzano col Governo hanno manifestato soddisfazione; chi invece milita nell’opposizione, anche solo col cuore, grande preoccupazione. I primi, sostengono che è un messaggio e che il Governo sta mostrando i muscoli a quegli industriali che promuovono la presunta “guerra economica”, che si dedicano al boicottaggio e chetessono le trame di una cospirazione il cui obiettivo sarebbe porre fine all’esperimento “chavista” e a un Governo democraticamente eletto. Gli altri, invece, sono convinti che si tratti di una manifestazione di debolezza di chi pretenderebbe trasferire sugli imprenditori le responsabilità di una politica economica errata che ha provocato la carestia di prodotti e medicine, una inflazione galoppante e la paralisi dell’economia. Trincee opposte. Ormai ci si affronta e confronta con una quotidianità costruita su una dialettica ogni giorno più violenta ed esasperata.

E’ certo, comunque, che gli arresti dei vertici di Farmatodo, la catena di farmacie presente in tutto il Venezuela con oltre 160 locali, e di “Día a Día”, la catena di piccoli supermercati distribuiti in 16 città con 35 locali solo nei quartieri popolari, ha sorpreso. E ha stupito il fermo di poche ore del presidente dell’Associazione di Cliniche del Venezuela, Carlos Rosales, avvenuto poco dopo che questi dichiarasse che nelle emergenze e nelle cliniche e ospedali del Paese manca il 70 per cento delle medicine, che la metà delle apparecchiature mediche e le risorse tecnologiche dei laboratori sono ferme per l’impossibilità di reperire i pezzi di ricambio e che sono sempre più a rischio le condizioni di salute dei malati cronici, molti dei quali rischiano anche la vita per mancanza delle medicine adeguate.

Questi avvenimenti, anche se rappresentano solo casi isolati, hanno posto i venezuelani di fronte ad una realtà inquietante: al momento di una decisione importante a cosa darà priorità il capitano d’industria o il manager? Agli interessi dell’impresa per la quale lavora; alla difesa dei posti di lavoro dei propri impiegati, molti dei quali sono da una vitain quella compagnia; o alla paura di essere arrestato con l’accusa di boicottaggio e cospirazione? Accusa questa che potrebbe tradursi in anni di carcere? E gli esponenti di organizzazioni imprenditoriali, continueranno a far sentire la propria voce critica, come hanno fatto fino ad oggi, o semplicemente taceranno per evitare gravi sanzioni e ilcarcere?

Così, mentre il pericolo di accuse di cospirazione e sabotaggio pesa minaccioso sul sempre più esiguo esercito di industrialilocali, le lunghe file di consumatori non mostrano tendenza alcuna a diminuire. Se, come dimostra la realtà dei fatti, non si possono evitare, allora, tanto vale nasconderle alla vista dei curiosi e agli scatti indiscreti. Ed ecco, quindi, che i grandi supermercati, quelli che l’hanno, aprono i seminterrati dimenticati e rispolverano locali adiacenti per ospitare le file dei consumatori, o creanospazi nei parcheggi per ospitare i clienti che attendono il proprio turno per entrare. Chi non ha alternative, si rassegna.

Indecisioni, paura, incertezza. Mentre l’economia frena drammaticamente, i prodotti arrivano a intermittenza e in quantità insufficienti per soddisfare la domanda dei consumatori e l’inflazione incalza; il governo temporeggia. Vuoi per timore delle conseguenze politiche, che si potrebbero tradurre in perdita di voti nelle prossime elezioni; vuoi per paura del costo in termini di popolarità;vuoi perché non convinto della bontà dei provvedimenti, tarda nell’approvare quelle misure economiche che tutti temono e che allo stesso tempola maggioranza ritiene necessarie per tornare a crescere e per favorire il riequilibrio tra la domanda e l’offerta.

Fulmine a ciel sereno. Se la polemica nell’ambito economico si concentra, in questi giorni, sulle conseguenze dell’arresto di imprenditori, che indirettamente indicano un irrigidimento nell’orientamento del Governo e fanno in mille pezzi i sogni di chi sperava in un colpo di timone; nell’arena politica esplode la polemica sull’impiego delle armi da fuoco nelle manifestazioni di protesta. Una risoluzione controversa emanata dal ministero della Difesa autorizza l’uso delle armi da fuoco in quelle manifestazioni cheiniziano pacificamente e poi sfociano nella violenza. E’ una involuzione. Il Paese, in termini di Diritti Umani, torna indietro negli anni. E pensare che dopo la dittatura militare di Pérez Jiménez, il Venezuela, isola democratica in un continente di dittature, ha sempre condannato l’uso eccessivo della forza, anche negli anni algidi della guerriglia in cui gli “abusi di Stato”contro gli insorti eranouna costante.

In Venezuela, ieri, come nelle democrazie più avanzate in materia di Diritti Umani, si discuteva se proibire alle forze dell’Ordine, quelle impegnate nel controllo delle manifestazioni, di portare armi da fuoco. Ma portarle come in passato, con la proibizione tassativa ad usarle, è una cosa, ed averle, con l’autorizzazione a farne uso come accade oggi, è un’altra.

Altri sono, o dovrebbero essere, i metodi per controllare le manifestazioni.

Anche il “Defensor del Pueblo”, Tarek William Saab, è intervenuto nel dibattito. Non ha condannato il provvedimento, ma ha fatto notare l’urgenza di un regolamento che eviti abusi. Padre Costituente, essendo stato membro della Commissione per i Diritti Umani dell’Assemblea Costituente, Tarek William Saab non ravvede contraddizioni tra la disposizione del ministero della Difesa e gli articoli 68, 25, 4, 329, 332 e 337  ch’egli stesso ha aiutato a redigere.

Diverso il parere dei membri della Mesa de la Unidad(Organizzazione che riunisce le forze di opposizione), attraverso Delsa Solorzano, responsabile della Commissione dei Diritti Umani, ha fatto sentire la sua voce di condanna. Il timore espresso dall’Opposizione è che con la risoluzione si vogliano creare le condizioni per una repressione violenta in caso dovesse esplodere lamalcontento o se il malessere popolare, per le conseguenze della crisi, dovesse dilagare e trasformarsi in protesta di piazza.

Legna sul fuoco. Non potevano mancare, nel corso di una agitata settimana, le consuete parole di condanna all’amministrazione Obama da parte del presidente della Repubblica, Nicolás Maduro. Il capo dello Stato, nel corso della commemorazione del 4 febbraio del 1992, data del fallito colpo di Stato che portò alla ribalta l’estinto presidente Hugo Rafael Chávez Frías, allora uno sconosciuto Tenente Colonello dell’esercito, ha criticato aspramente il presidente Obama e la sua amministrazione. La polemica diplomatica, quindi, cambia protagonisti. La cancelleria colombiana cede il posto al Dipartimento di Stato.

Il presidente Maduro ha chiesto al capo dello Stato nordamericano di “rettificare e fermare la follia” della sua amministrazione contro il Venezuela e lo ha invitato energicamente a “non imboccare una strada senza uscita”. Il presidente ha anche ricordato le dichiarazioni del Generale Vincent Stewart al Congresso. Il Generale, in quella occasione, parlò di proteste in Venezuela organizzate e promosse da Washington.

La polemica diplomatica, a differenza di altre occasioni, non ha risvegliato l’interesse dei venezuelani, più preoccupati a risolvere i problemi della quotidianità e a rincorrere i prodotti alimentari e le medicine che vanno e vengono come fantasmi. Più fortuna ha avuto, specialmente in seno alla nostra comunità, la denuncia dell’ex capo della polizia di San Diego, il connazionale Salvatore Lucchese, forse perché tocca tutti più da vicino. Poche ore dopo la sua liberazione, una volta scontata la pena di 10 mesi e 15 giorni imposta dal Tribunale Supremo di Giustizia con l’accusa di non aver evitato le barricate nel comune di sua competenza come lo stesso Tribunale aveva ordinato, ha fatto pervenire alla Commissione dei Diritti Umani dell’Onu un fascicolo con la denuncia dettagliata dei presunti abusi di cui sarebbe stato vittima durante i mesi di prigionia nel carcere di ramo Verde.

– Sono violazioni – ha detto – che non possono e non devono restare impunite.

Il tempo sarà galantuomo.

 (Mauro Bafile/Voce)

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