Ucraina: il summit a 4 rilancia gli accordi di Minsk

Ukraine peace negotiations in Minsk

MINSK. – Solo una “dichiarazione comune” sulla necessità di rispettare gli accordi di Minsk dello scorso 5 settembre e il sostegno ad un piano per attuarli affidato al gruppo di contatto (Mosca-Kiev-Osce-separatisti): sarà questo, secondo le prime indiscrezioni, l’apparentemente magro risultato del vertice notturno nella gelida e nebbiosa Minsk in formato Normandia tra Putin, Poroshenko, Merkel e Hollande per discutere un nuovo piano di pane per il Donbass, negoziato negli ultimi giorni dopo la mediazione franco-tedesca. Sullo sfondo di una nuova escalation dei combattimenti, del monito di Obama a Putin a cessare la sua azione aggressiva per evitare di pagare costi più alti e della minaccia della Ue di nuove sanzioni economiche alla Russia in caso di fallimento delle trattative, da discutere già domani nel vertice di Bruxelles. Probabilmente i quattro leader non sono riusciti in pochi giorni a superare tutti gli scogli per un accordo globale e si sono limitati a rilanciare gli accordi di Minsk, delegando il gruppo di contatto – che li aveva partoriti e firmati – ad elaborare un piano per la loro attuazione. Secondo le indiscrezioni, i punti concordati prima del vertice riguardavano un immediato cessate il fuoco e la creazione di una zona demilitarizzata più ampia di quella di 30 km (15 per parte) prevista dagli accordi precedenti, con il ritiro di tutte le armi pesanti. Tensioni invece sulla definizione della linea del fronte, dove i ribelli non vogliono cedere il migliaio di kmq conquistati. Al momento non è dato sapere quali saranno i meccanismi di controllo della tregua, né se è stata raggiunta un’intesa più ampia, anche sullo status speciale per le regioni separatiste e il controllo dei confini russo-ucraini. Nonché sull’eventuale adesione di Kiev alla Nato: il conflitto del Donbass “può essere risolto pienamente solo se Kiev avrà lo status di Paese non allineato, neutrale verso tutte le unioni militari”, ha ricordato in serata Denis Pushilin, uno dei negoziatori dei separatisti filorussi. Il problema, come ha ammonito il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, è che l’accordo non sia “un pezzo di carta”. Ma forse sarà quanto basta per congelare il conflitto, scongiurare nuove sanzioni e forse anche la fornitura Usa di armi letali a Kiev. A favore di una qualche intesa, anche minima, deponevano vari indizi. Prima di tutto l’arrivo di Putin, che aveva subordinato la sua partecipazione al summit ad un accordo su vari punti. Il leader del Cremlino, tra l’altro, si è portato non solo due consiglieri presidenziali come Iuri Ushakov e Vladislav Surkov ma anche il ministro degli Esteri Serghiei Lavrov, che in giornata aveva parlato di “notevoli progressi”. Poi l’arrivo dei leader delle autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, Aleksandr Zakharcenko e Igor Plotnitski, pronti a firmare un eventuale documento. Anche Poroshenko si era detto fiducioso di trovare “un compromesso all’interno del Paese” per “fermare le ostilità immediatamente e senza condizioni e avviare il dialogo politico, senza interferenze esterne”. “O la situazione si avvia sulla strada della de-escalation, della tregua… o la situazione va fuori controllo”, aveva avvisato, annunciando nel secondo caso l’introduzione della legge marziale in tutto il Paese. La giornata era cominciata con una nuova riunione del gruppo di contatto (Mosca, Kiev, Osce e separatisti). Poi a metà pomeriggio per primo è arrivato Poroshenko, mentre la Merkel e Hollande sono sbarcati poco dopo contemporaneamente e sono giunti nella stessa auto. Prima del summit hanno avuto un trilaterale con il presidente ucraino. Putin è arrivato per ultimo. A fare gli onori di casa, nel maestoso palazzo post-sovietico dell’Indipendenza, invaso da 500 giornalisti stranieri, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko: ‘L’ultimo dittatore d’Europa’ – secondo l’amministrazione Usa – che tenta di capitalizzare il momento per dare lustro ad un Paese ancora sovietico, dove casino’ e MacDonald’s convivono con un’economia statale, il Kgb e la statua di Felix Dzherzinski, il fondatore della polizia segreta sovietica. Due ore di summit tra i leader, dove Putin e Poroshenko, dopo l’iniziale stretta di mano, avrebbero discusso animatamente. Poi negoziati allargati con le rispettive delegazioni in una elegante sala intorno ad un grande tavolo rotondo con al centro un ricco bouquet di fiori. Forse ci si aspettava di più. Non è scontato che il rilancio degli accordi di Minsk riesca a fermare scontri sempre più cruenti. Anche oggi il bilancio delle vittime è pesante: Kiev ha perso 19 soldati nelle ultime 24 ore, di cui 5 ieri nell’attacco al quartiere generale di Kramatorsk, mentre a Donetsk, roccaforte dei separatisti, almeno sei persone hanno perso la vita nei bombardamenti che hanno colpito una fermata di bus. (dell’inviato Claudio Salvalaggio/ANSA)

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