Renzi: ”Non è tempo di interventi armati in Libia”

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ROMA. – La crisi libica piove sul tavolo del governo come una bomba ad orologeria, e costringe Matteo Renzi ad una brusca frenata su un possibile intervento a Tripoli. ”Non è tempo di interventi armati”, è costretto a precisare il premier in attesa della riunione del Consiglio di sicurezza Onu: ”serve saggezza, la realtà è più complessa degli slogan”. Eppure, resta l’impressione di uno scarso coordinamento tra palazzo Chigi, Farnesina e ministero della Difesa che ha aperto il varco alle critiche delle opposizioni che parlano di ”dilettantismo” (Forza Italia) e di ”agghiacciante spirito guerriero di alcuni ministri” (Vendola). Quasi una coda delle polemiche velenose che hanno opposto la maggioranza di centrosinistra a tutti gli altri partiti nel dibattito sulle riforme e che non sembrano ancora esaurite nonostante la drammaticità di quanto sta avvenendo tra Sirte e Misurata. Il governo riferirà alla Camera sulle prospettive dello scontro con il fondamentalismo islamico che si è impadronito di quella che una volta era la ”Tripoli bel suol d’amore”, sfondo della colonizzazione italiana. Il premier ha assicurato che ”la visione dell’esecutivo è una sola” e che la strategia resta quella di coinvolgere tutti ”gli attori in gioco” (cioè le molteplici etnie tribali libiche) e gli organismi internazionali ma resta il fatto che il nostro Paese è ormai sulla linea del fronte: cominciano ad ingrossarsi le fila di coloro che chiedono uno stop all’immigrazione clandestina, possibile veicolo di infiltrazioni terroristiche, o comunque maggiori controlli che sembrano possibili solo sulle coste di origine. Ne deriva che quello dell’immigrazione diventa un problema da affrontare in fretta, prima che finisca fuori controllo: dalle esternazioni battagliere che sono venute anche dal Pd si capisce che Renzi avrà il suo da fare nello stabilire una linea che sia allo stesso tempo efficace e che accontenti tutti, senza lasciare troppo spazio all’offensiva leghista che gli rimprovera di aver sottovalutato il problema insieme ad Alfano. La Libia non è tuttavia il solo focolaio che mette in tensione il governo. C’è un’altra bomba, stavolta economica: la secca bocciatura riservata da Tsipras al piano dell’eurogruppo per salvare la permanenza della Grecia nell’euro. Da tempo la famiglia socialista europea si muove in bilico tra il rispetto degli accordi sottoscritti da Atene e l’uso della flessibilità consentita dai trattati: una linea con ampi margini di ambiguità respinta totalmente dalla Germania, soprattutto perché non si è capito come lo scambio tra tempo e riforme (l’obiettivo greco) possa scongiurare la ristrutturazione del debito della Grecia e con esso pesanti perdite economiche per le banche coinvolte nel piano di salvataggio (molte sono italiane). Le due crisi, saldate alla fragile tregua ucraina, disegnano uno scenario esplosivo all’interno del quale è quantomeno ottimistico parlare di ripresa economica. Eppure è quanto fa il Rottamatore deciso a realizzare le riforme e completare la legislatura nel 2018 ”con o senza Forza Italia”. A Sergio Mattarella, che riceverà le opposizioni salite sull’Aventino parlamentare, il capo del governo fa sapere che non mancherà di ”dare una mano” con qualche apertura ma senza che ciò configuri uno scambio, un do ut des. Renzi confida nella moral suasion presidenziale e anche in un certo rasserenamento del clima tra i democratici. Del resto le opposizioni continuano ad essere profondamente divise. I 5 Stelle saliranno al Quirinale determinati a chiedere al capo dello Stato un intervento deciso contro la politica del governo in tema di riforme, decretazione d’urgenza e politica economica. Anche Sel esprimerà il suo disagio, mentre per Fi sarà Renato Brunetta a rappresentare le critiche azzurre alle rigidità di maggioranza. Critiche altrettanto dure giungeranno da Lega e Fdi. Ma il Rottamatore aspetta soprattutto di vedere come si concluderà quello che ha definito ”il derby di Fi”: Silvio Berlusconi si appresta in marzo ad un ritorno in grande stile sul palcoscenico del centrodestra senza farsi condizionare dai tentativi di Salvini di accodarlo al Carroccio. Ciò ridurrà i margini di manovra di Fitto che non vuole uscire dal partito. L’attesa di palazzo Chigi è tutta per l’atteggiamento del Cav nei confronti delle riforme e del percorso compiuto insieme fin qui. Nonchè sul fronte internazionale che potrebbe riavvicinare le posizioni. (di Pierfrancesco Frerè/ANSA).