Babacar o M’Baye, i baby stranieri d’Italia

Fifa World Cup 2014: Italy's training session

ROMA. – Balotelli, El Shaarawy, Okaka. Ma anche Babacar, M’Baye, Pepin. ”Troppi giocatori di colore nelle squadre giovanili”, dice Arrigo Sacchi, ed e’ bufera sulla sua frase ‘razzista’. Ma l’ex ct si difende: e’ la difesa dei nostri vivai, non un’accusa al colore della pelle. ”Sacchi ha fatto confusione, il colore della pelle non c’entra nulla con la nazionalità”, il primo commento di Damiano Tommasi, presidente del sindacato calciatori. ”Ma lui conosce bene il problema”, aggiunge a mente fredda. E il problema, evidentemente, esiste. La disputa sull’eccesso di stranieri nei campionati – quello italiano e non solo – va avanti da tempo. Tocca gli interessi dei ct, che vedono ristretto il bacino di giocatori arruolabili in nazionale (e non riguarda ovviamente i cosiddetti nuovi italiani, per un ct come Conte); ma trovano un muro invalicabile nella libera circolazione europea e nella volontà di molte leghe di liberalizzare sempre più anche il trasferimento di extracomunitari. Ma per i vivai e’ diverso. Nei tre gironi della Primavera, il dato indica che su 1.154 tesserati, gli africani in campo sono stati 54, ovvero il 4,67% del totale. ”Il dato di maggior rilievo e’ quello degli italiani figli di stranieri: sono uno su cinque, nelle giovanili”, dice Tommasi, in linea con Delrio nella richiesta di un riconoscimento. ”Ma questo è un conto, un altro – secondo Tommasi – il discorso sugli stranieri presi da fuori, come hanno fatto squadre tipo Lazio e Inter, e che magari vengono dalle ‘academy’ dei club stranieri. Noi vogliamo incentivare l’utilizzo di gente calcisticamente formata in Italia, invece si investe altrove e ciò significa, in chiave Nazionale, che ormai i nostri club lanciano in prima squadra molti più giovani under 21 stranieri che italiani”. Insomma, i vari Babacar, M’Baye, Keita, Pepin. Al punto che, secondo il presidente dell’Aic, “i ragazzi italiani più promettenti per trovare spazio sono costretti ad andare in serie D”. Ecco perchè “al di là delle parole e dei torni, Sacchi ha sollevato un problema secondo me reale”. E a poco potrebbe servire la regola delle quote, che imporrà in Italia ‘rose’ di prima squadra da 25 giocatori di cui 8 di formazione calcistica italiana. “Ma noi avevamo fatto ricorso – spiega Tommasi – perchè la regola può essere aggirata. Dice che un ragazzo deve aver giocato ed essersi formato, dai 15 ai 21 anni, almeno tre anni in Italia: basta prendere un diciottenne dalla prima squadra di un altro paese e il gioco è fatto. Vorremmo anche introdurre un vincolo fino ai 25 anni per quei ragazzi dai 14 ai 16 anni che, per aggirare certi ostacoli, firmano per società dilettantistiche”.(

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