Kiev inizia il ritiro delle armi pesanti. Ultimatum di Mosca sul gas

Crisis in Ukraine

MOSCA. – Scende la tensione militare nell’est ucraino, dove anche Kiev ha annunciato l’inizio del ritiro delle armi pesanti, due giorni dopo i separatisti. Ma sale la tensione energetica, dopo l’ultimatum rilanciato da Mosca: se l’ucraina Naftogas non effettuerà entro sabato i pre-pagamenti del gas russo, Gazprom taglierà le forniture, con possibili conseguenze anche per i flussi destinati all’Europa. La Commissione Ue ha preso sul serio il pericolo e ha fissato un incontro trilaterale per risolvere la disputa, anche se ormai a tempo scaduto: lunedì a Bruxelles. In serata ne hanno parlato in una conversazione telefonica anche il capo della diplomazia Ue, Federica Mogherini, e il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov. Il colosso russo ha concesso solo un piccolo compromesso, dicendosi pronto a escludere dal contratto di Kiev le forniture per il Donbass, che avevano creato il nuovo pomo della discordia. L’ultima guerra del gas tra Mosca e Kiev è scoppiata il 20 febbraio, quando Gazprom ha annunciato di aver iniziato a pompare il metano per le regioni secessioniste di Donetsk e Lugansk, dopo l’improvvisa chiusura dei rubinetti da parte di Kiev, ufficialmente per i danni subiti dai gasdotti nei combattimenti. Una decisione che “puzza di genocidio”, ha accusato ieri Putin. La situazione è precipitata quando Mosca ha preteso che Kiev pagasse anche per il gas fornito al Donbass, trattandosi di territorio ucraino. Ma Naftogas si è rifiutata, sostenendo di non avere alcun mezzo per controllare i volumi e il loro utilizzo e denunciando una violazione del contratto, per il cambio dei punti di ingresso del metano (nel territorio dei ribelli) e la riduzione della quantità ordinata. Secondo gli analisti, Mosca sta allentando la leva militare e agitando quella economico-energetica su un Paese che rischia il collasso finanziario e su un’Europa ancora fortemente dipendente dalla Russia per il gas. Non solo. Gazprom, strumento politico nelle mani del Cremlino, mette Kiev con le spalle al muro chiedendole il conto energetico di una fetta del Paese che reclama. E prefigurando forse il modello Transnistria, l’enclave secessionista filorussa della Moldova, dove Mosca fornisce il gas fatturando a Chisinau. Mosca sembra invece puntare su una de-escalation del conflitto militare, sottolineando come i ribelli abbiano cominciato il ritiro delle armi pesanti in modo unilaterale, nel rispetto degli accordi di Minsk. Kiev si è trovata così spiazzata ma oggi, appoggiandosi a una tregua senza morti né bombardamenti negli ultimi due giorni, ha annunciato l’inizio del ritiro delle sue armi pesanti, a partire da quelle calibro 100 mm, “esclusivamente con il monitoraggio dell’Osce”. E pronta a “rivedere il calendario del ritiro in caso di assalti”. Oleksandr Zakharcenko, leader dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, ha assicurato che il 90% delle armi pesanti dei ribelli è stato ritirato, ma ha ammonito che se entro le 19 di domani Kiev non inizierà le operazioni di disimpegno, l’artiglieria delle milizie tornerà sul fronte. Determinanti saranno il monitoraggio e il giudizio della missione Osce, che finora, pur registrando l’arretramento di armi pesanti dei ribelli, si è lamentata del loro rifiuto di concedere un accesso sul terreno sicuro e illimitato. E mentre la Mogherini, a nome della Ue, chiede alla autorità russe “il rilascio urgente per ragioni umanitarie” della pilota militare ucraina Nadia Savchenko, in sciopero della fame da 75 giorni in una cella russa, dalle rovine dell’aeroporto di Donetsk sono affiorati i corpi di almeno 30 soldati. (di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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