Nel 2015 l’Italia tornerà a crescere, parola di Padoan

Crescita e lavoro

ROMA. – Nel 2015 l’Italia tornerà a crescere. Di ritorno da Bruxelles, dove l’Ecofin ha approvato le regole di base del fondo per gli investimenti previsto dal piano Juncker, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, se ne dice sempre più convinto. Questo sarà l’anno della svolta sia per l’economia in senso stretto che per l’occupazione. A livello europeo, il quantitative easing della Bce farà infatti sentire i suoi effetti, così come farà anche il piano di investimenti. A livello nazionale, l’implementazione delle riforme strutturali sarà essenziale per sfruttare al meglio tutte le opportunità offerte dalle decisioni di politica monetaria. Quest’anno, ha sottolineato Padoan in audizione alla Commissione sulle politiche europee del Senato, “mi aspetto non solo più stimolo alla crescita ma, considerando le misure prese dal governo in Italia”, dal Jobs act alla riduzione del costo del lavoro, “mi aspetto che la crescita aumenterà e sarà più ricca di lavoro di quanto sarebbe stato altrimenti”. Ancora una volta, in attesa del nuovo Documento di economia e finanza di aprile, il ministro non si è voluto sbilanciare azzardando una previsione numerica. Le ultime stime del governo risalgono all’autunno, quando nella Nota di aggiornamento al Def era stato previsto per il 2015 un +0,5%, ma da allora la situazione – soprattutto a livello internazionale – è profondamente cambiata. L’acquisto massiccio di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea sta già dando i suoi effetti, innanzitutto con la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro. Un riequilibrio che Padoan considera “normale”, visto i tassi di crescita al di qua e al di là dell’Atlantico e che sicuramente (come evidenzia anche un sondaggio tra le imprese effettuato da Unioncamere) favorirà le esportazioni. Al Qe della Bce si somma anche la nuova flessibilità Ue, che ha consentito all’Italia di non “ammazzare” definitivamente l’economia, rispettando rigidamente la regola del debito. L’Europa tutta, anche se “obtorto collo” per alcuni membri, può insomma beneficiare di una nuova impostazione che però, ha puntualizzato il ministro, non rappresenta in alcun modo “un gentile regalo” per l’Italia. Tutto quello che Roma ha ottenuto, ha tenuto a ribadire Padoan, se l’è conquistato, non solo convincendo Bruxelles della contingenza di circostanze eccezionali, ma anche approvando, ed ora attuando, le riforme invocate da anni. Tra qualche mese si innesterà inoltre su questo quadro anche l’effetto-Juncker. Partiranno cioè i primi finanziamenti garantiti a livello europeo destinati a far risorgere gli investimenti, affondati negli anni della crisi a livelli “storicamente inaccettabili”. Il ministro ne ha spiegato alcuni dettagli: alla base del piano Juncker ci sono in primo luogo i progetti profittevoli, bancabili, o “junckerabili” (in settori cioè a fallimento di mercato, dove il rischio è troppo elevato per soli investitori privati), che saranno finanziati dal fondo strategico Efsi. “Inizialmente – ha spiegato Padoan – si pensava al conferimento diretto di risorse nel fondo da parte degli Stati, poi l’appetito da parte degli Stati membri a contribuire è venuto meno” e si è quindi optato per un’altra soluzione. Il fondo parte in pratica da una dotazione di base di risorse pubbliche per 21 miliardi (16 di risorse Ue e 5 della Bei). Questo capitale fa da garanzia ad altri 60 miliardi della Bei, sui quali – a questo punto con un doppio livello di garanzia – potranno “appoggiarsi” altri 240 miliardi di risorse private. Gli 8 miliardi della Cdp (così come quelli delle altre banche promozionali nazionali) si inseriscono dunque in quest’ultimo spazio riservato ai privati. La Cassa, ricordano i tecnici del Ministero dell’Economia, è infatti fuori dal perimetro pubblico ed è quindi escluso a priori un impatto del contributo sui saldi di finanza pubblica.

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