Tunisia al bivio, dalla rivoluzione dei gelsomini alla strage

TUNISIA

ROMA. – A poco più di 4 anni dalla rivoluzione dei gelsomini – che si aprì con il gesto disperato di Mohamed Bouazizi che accese la miccia della primavera araba – e dopo una lunga e travagliata stagione culminata pochi mesi fa con l’elezione del primo presidente del dopo dittatura e con le speranze di una rinascita democratica, la Tunisia torna a rivivere l’incubo del terrorismo con la strage al museo del Bardo dopo essersi considerata una delle poche ‘oasi’ di sicurezza dell’area. La tragica morte di Bouazizi, il 4 gennaio del 2011, porta la popolazione in piazza e costringe il presidente Ben Ali a fuggire. La presidenza viene assunta dal presidente della Camera Fouad Mebazaa e si inaugura un’incerta fase transitoria con il timore di una deriva integralista. Ma il profumo dei gelsomini continua a soffiare su Tunisi e ad ottobre dello stesso anno si svolgono le elezioni per l’Assemblea Costituente che danno la maggioranza relativa al partito islamico moderato Ennahda, che grazie a questa affermazione viene chiamato a guidare l’avvio della transizione. A dicembre dello stesso anno Moncef Marzouki viene eletto eletto Presidente “ad interim” dall’assemblea costituente. Ma i mesi seguenti sono tutti in salita e già si intravedono le prime crepe. Manifestazioni antigovernative investono il Paese: in molti contestano la bozza della nuova Costituzione che non menziona la parità tra i sessi e ci si infiamma sulla definizione da dare allo Stato, arabo o islamico. L’ondata imponente delle proteste popolari spacca il governo a dicembre 2012 e a due anni dalla rivoluzione la delusione è il sentimento che prevale in larga parte della popolazione. La Tunisia che si affaccia al 2013 è un Paese che vive nell’incertezza. Il 6 febbraio il tragico assassinio del segretario del Partito dei patrioti democratici Chokri Belaid da parte dei salafiti infiamma ancora una volta il Paese con cortei spontanei, assalti e incendi a sedi di Ennahda. Il pugno duro del governo porta a nuove tensioni. Poi il 26 luglio viene freddato un secondo esponente dell’opposizione laica: Mohamed Brahmi. Ed è ancora tensione. Cortei pro e anti Ennahda investono Tunisi e altre città. Il Paese è una polveriera con la crescita della criminalità politica e del salafismo jihadista. Ma ad ottobre 2013 gli islamici cedono di fronte alle lacerazioni tra le forze politiche e decidono di andare verso un governo di tecnici. Il 26 gennaio 2014 entra in vigore una nuova Costituzione che contiene garanzie di libertà ed uguaglianza, principi di tutela delle tradizioni e della persona. Poi il governo convoca le elezioni cercando una via d’uscita. Vince il partito laico e gli islamisti ammettono la sconfitta. I tunisini scelgono nuovo presidente Beji Caid Essebsi, con trascorsi con Habib Bourghiba. I gelsomini rifioriscono a Tunisi e con essi anche la speranza di una rinascita democratica. Ma tornano a farsi sentire i contraccolpi della crisi economica, mentre gli squilibri sociali sembrano aggravarsi. E allo stesso tempo si insinua il timore rappresentato dai delusi della rivoluzione, facili preda dell’estremismo religioso, che attende la sua vera rivincita. Fino alla strage odierna.