L’autodifesa del ministro Lupi alla Camera. Via a testa alta

Lupi in sala governo alla Camera, ultima volta che entro...

ROMA. – “Non sono qui a difendermi da accuse che non mi sono state rivolte. Sono qui per rivendicare il ruolo decisivo della politica nella guida del nostro Paese”. Parte da qui l’autodifesa di Maurizio Lupi dopo la bufera delle intercettazioni dell’inchiesta sulle grandi opere: nonostante la consapevolezza di non aver fatto nulla c’è il dovere di rispondere della propria “responsabilità politica”. Ed è proprio questo che porta alla decisione di dimettersi: ma Lupi è forte dei valori che lo hanno sempre guidato nel suo impegno politico, e per questo può lasciare il Governo “a testa alta”. L’informativa alla Camera sull’inchiesta sugli appalti è per Lupi l’occasione, oltre che per annunciare formalmente le dimissioni, già anticipate la sera prima in tv, anche per spiegare e difendersi dopo pagine e pagine di intercettazioni: non posso far cancellare in tre giorni – sostiene – tutto ciò che ho fatto da ministro in questi 22 mesi. Questi tre giorni, i più difficili per Lupi, sono cominciati lunedì sera quando escono le prime intercettazioni. Da quel momento è sempre stato in continuo contatto con Angelino Alfano e con Matteo Renzi. La prima telefonata con il premier è il martedì mattina. Renzi fin da subito esprime la sua linea: non sarò io a chiederti le dimissioni, la decisione deve essere tua tenendo conto di tutti i fattori, politici, famigliari, umani. Da questo momento in poi si vedono con Angelino Alfano tutti i pranzi, tutte le sere e tutti i dopocena. “E’ in questo momenti che scopri cos’è la vera amicizia” commenta Lupi con chi gli è vicino. L’ormai ex ministro ha aperto questa mattina il suo intervento di 12 pagine, rivisto fino all’ultimo con Alfano e Quagliariello, sottolineando l’atto di “estremo riguardo” nei confronti del Parlamento (che però in quel momento si presenta con un’Aula quasi vuota), il “luogo della responsabilità”. Come prima cosa ricorda di non essere indagato: “Non invoco il garantismo nei miei confronti perché non ho ricevuto alcun avviso di garanzia”. Quindi spiega perché le accuse che gli sono state rivolte sono “immotivate e strumentali”. Al “pregiudizio” il ministro contrappone – citando il Bulgakov de ‘Il Maestro e Margherita’ – la “testimonianza testarda dei fatti”: ovvero quanto fatto sulle grandi opere. Lupi ne approfitta per difendere la Struttura tecnica di missione del Ministero (“non era la difesa acritica dello status quo) e anche il super dirigente finito agli arresti Ercole Incalza: non l’ho rimosso – spiega – perché non ha subito alcuna condanna. Dopo circa un quarto d’ora di discorso, con la voce che talvolta inciampa nelle parole, il ministro arriva al punto più delicato, la presunta condotta personale “inopportuna”. E definisce “inverosimile” che un amico da 40 anni possa pensare di accreditarsi presso di lui regalandogli un vestito; ribadisce di non aver “mai fatto pressioni” con nessuno per procurare lavoro al secondogenito Luca (che è stato da poco assunto a New York “perché lo considerano bravo”): l’errore, semmai, ammette è stato di non chiedergli di restituire l’orologio da 3.500 euro ricevuto dai Perotti per la laurea. La decisione di dimettersi (che sarebbe arrivata giovedì mattina, nonostante le resistenze della moglie, vinte dalla volontà di difendere la reputazione del figlio), dunque va ricondotta alle ragioni della scelta di fare politica: e se questo passo indietro può essere un modo per rafforzare l’azione del governo – afferma – allora le dimissioni hanno un senso. Il fatto che le dimissioni stesse vengano annunciate davanti alle telecamere di Porta a Porta, fanno sapere dal suo entourage, è un puro caso. L’appuntamento con Vespa era già stato fissato e Lupi aveva già comunicato a mezzogiorno a Renzi la sua decisione di dimettersi e di voler renderne ragione in Parlamento. Dopo il premier, Lupi informa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ne prende atto e lo invita a un incontro che si è svolto oggi pomeriggio. E poi c’è la famiglia: “Diventando ministro non mi sono dimesso da padre e da marito, né intendo farlo oggi, per me gli affetti vengono prima di una poltrona, anche se prestigiosa”. “Ogni esperienza deve finire con un punto”, conclude Lupi. La prossima potrebbe essere a Milano, con la candidatura a sindaco nel 2016. Uscito dall’Aula di Montecitorio, al termine di tre giorni difficili, si è diretto nella sala del Governo dove era riunito tutto l’Ncd per applaudirlo e abbracciarlo. (di Enrica Piovan/ANSA)