Morti 400 migranti in naufragio. Spari sui soccorritori

Immigrazione: muore su gommone, corpo dilaniato da squali
ROMA. – Due mesi fa la motovedetta della Guardia Costiera, ieri un rimorchiatore privato e una nave di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere: per la seconda volta dall’inizio dell’anno le imbarcazioni impegnate nei soccorsi alle migliaia di disperati che ogni giorno tentano di raggiungere l’Europa, sono state attaccate a colpi d’arma da fuoco.

L’ennesimo segnale che conferma come la situazione sulla sponda sud del Mediterraneo sia ormai degenerata e che va ad aggiungersi ad un altro inequivocabile, la ripresa delle partenze di massa: oltre 8.500 in meno di 72 ore.

“La Commissione Ue è pronta a fare la sua parte per sostenere ed assistere l’Italia e gli altri Stati membri più colpiti, che hanno necessità urgenti”, così il commissario Ue all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, dopo gli arrivi di migliaia di migranti negli ultimi giorni. “Di recente abbiamo offerto supporto finanziario d’emergenza ad alcuni Stati membri – evidenzia il commissario – e siamo pronti a farlo ancora, in futuro, se sarà necessario”.

Arrivate dunque 8.500 persone in 72 ore. Senza contare quelli che sono morti e che vanno a ingrossare le file dei senza nome finiti in fondo al mare: 400 secondo il racconto dei testimoni sbarcati in Calabria. L’attacco ai soccorritori è avvenuto ieri a circa 60 miglia dalle coste libiche, durante il trasbordo dei migranti tra la nave della marina islandese Tyr, inserita nel dispositivo Frontex, e il rimorchiatore italiano Asso 21. Da un “barchino veloce” – che secondo altre testimonianze, e alcune foto, sarebbe invece una motovedetta libica – sono partiti “vari colpi di arma da fuoco” in aria, per recuperare il barcone su cui avevano viaggiato.

“Questo è un segnale che i trafficanti in Libia stanno finendo le barche”, afferma il direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri. Il “natante” si è poi diretto verso terra ed è stato monitorato per un tratto da nave Bergamini della Marina militare italiana che ha ripristinato “la cornice di sicurezza”. Il Bergamini, sottolinea la Difesa, ha poi proseguito nell’attività di pattugliamento “non riscontrando le condizioni per dare seguito ad ulteriori azioni, mentre il barchino veloce entrava nelle vicine acque territoriali libiche.

Sulla vicenda sono in corso ulteriori accertamenti per chiarire tutte le dinamiche”. Intanto, degli oltre 8.500 migranti soccorsi nel fine settimana, quasi tremila sono sbarcati questa mattina tra la Sicilia, la Calabria e Lampedusa, dove il centro di accoglienza è al collasso con 1.400 migranti (ma per 300 di loro è già previsto un trasferimento con un ponte aereo) a fronte di una capienza di 250 posti. E con i sopravvissuti arrivano i racconti dell’orrore.

“Nei pressi di Tripoli abbiamo vissuto per quattro mesi in una fabbrica di sardine – ha raccontato un diciassettenne – Eravamo più di mille persone. Mangiavamo una sola volta al giorno e non potevamo fare nulla. Se qualcuno parlava con un amico o un vicino, veniva picchiato. Tutto questo per estorcere altri soldi. Ti facevano chiamare a casa, dicendo che stavi per morire e nel frattempo ti picchiavano, così i tuoi familiari sentivano le tue urla”.

Secondo altri sopravvissuti sbarcati a Reggio Calabria, degli oltre 20 barconi partiti in questo fine settimana, uno avrebbe fatto naufragio. A bordo ci sarebbero state 400 persone, tra cui molti giovani. Ma secondo la Guardia Costiera, le ricerche condotte incessantemente “in un vasto tratto di mare non ha portato all’individuazione e al recupero di altri superstiti”.

E un altro racconto dell’orrore arriva da Pozzallo, dove oggi sono sbarcati 110 migranti soccorsi ieri e arrestato uno scafista. Sul barcone con loro c’era un migrante che è morto durante la traversata dopo aver respirato i vapori del gasolio: alcuni avrebbero proposto di gettarlo in mare per far allontanare gli squali che giravano attorno al barcone.

“L’abbiamo visto accasciarsi – hanno detto agli agenti i migranti – ha vomitato e poi è caduto giù al centro della barca; credevamo si riprendesse ma così non è stato. Qualcuno lo voleva gettare ma i nigeriani non hanno voluto hanno detto che lui viaggiava con noi”. Ma “ad un certo punto – conclude il testimone – ho visto che lo gettavano in acqua credo per il poco spazio o perché stava arrivando la barca che ci ha soccorsi”.

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