Comites, ricucire il rapporto con la Collettività

Inconsuete, atipiche. Non c’è altro modo per definire le elezioni per il rinnovo dei Comites che abbiamo lasciato alle nostre spalle. E alle quali la nostra Collettività, almeno la stragrande maggioranza, non ha partecipato. Lo dicono i numeri, non noi.

A conti fatti, quanto accaduto in queste elezioni, era prevedibile. Se ne aveva sentore già prima della timida campagna elettorale che si è svolta nell’indifferenza della stragrande maggioranza degli italiani del Venezuela. Nulla di cui sorprenderci. I connazionali hanno disertato il voto. E ciò si può solo attribuire alla gestione deficitaria di chi, nel Comites, non ha saputo, o non ha avuto interesse a coinvolgere la Collettività, poche volte si è fatto portavoce delle sue istanze e quasi mai è stato capace di interpretarne le aspirazioni. Inutile ora snocciolare uno per uno i tanti problemi della nostra comunità verso i quali il Comites passato è in debito. E’ giusto, comunque, riconoscere che non sono mancate iniziative personali. Ma, appunto, parliamo di iniziative portate avanti da pochi singoli membri e non dall’istituzione in sé. Null’altro. Ora bisogna voltare pagina. Ma non possiamo né dobbiamo dimenticare il passato; un passato che deve aiutare a capire gli errori commessi per non ripeterli; a evitare atteggiamenti che solo contribuirebbero a gettare ombre su una gestione che deve essere improntata sulla massima trasparenza. Si chiede una radicale rottura con il decennio trascorso per alimentare la speranza nel futuro.

Il Comites deve essere il ponte tra la Collettività e i nostri rappresentanti consolari e diplomatici. Deve saper ascoltare la comunità, interpretarne le necessità per poi farsene portavoce. Un ruolo difficile ma necessario per evitare lo scollamento con le persone che è chiamato a rappresentare. I numeri parlano chiaro. E riflettono il disinteresse che si è creato attorno all’istituzione. Di un universo di circa 87 mila aventi diritto al voto ne hanno fatto richiesta meno di 15 mila. Una cifra irrisoria, ridicola. Ora si potranno dire tante cose. Già c’è chi sostiene che quanto accaduto in Venezuela riflette una tendenza mondiale; che gran parte della scarsa partecipazione è da attribuire alle limitazioni e carenze del nostro Consolato Generale, alla nuova modalità di voto o alla decisione di rimandare ulteriormente le elezioni che erano state fissate alla vigilia delle feste natalizie dello scorso anno. Sarà anche vero ma la realtà, purtroppo, è che la nostra Collettività stenta ormai a credere nei Comites. Dieci anni di delusione sono riusciti ad allontanarla dall’istituzione, a renderla apatica. Soprattutto, indifferente.

Volti noti e volti nuovi. I membri del nuovo Comites, in particolare i “new entry”, ma non solo, avranno un futuro non facile. Innanzitutto dovranno convincere la Collettività che saranno all’altezza del ruolo che sono chiamati a ricoprire, nei fatti e non solo a parole. Mille, 500 ed anche meno voti, d’altronde, non li legittimano come rappresentanti di tutti. Al contrario, gettano molte ombre. Toccherà a loro dissiparle. Dovranno far conoscere l’istituzione, riavvicinarla alla Collettivitá. Costruire ponti, far partecipi i connazionali, tutti, delle iniziative e delle decisioni del Comites ed evitare di mantenerli all’oscuro di tutto, come è più spesso accaduto in passato. Dovranno essere capaci di ascoltare, soprattutto le critiche. E saper trasformare parole che possono ferire, risultare amare ed anche ingiuste, in stimoli per dar vita a nuove iniziative. Questa è la sfida per il nuovo Comites.

Dicevamo che queste elezioni sono anomale. Ancora una volta sono i numeri a dirlo, non noi. Ad esempio, perché un connazionale che ha fatto espressa volontà di voto non ha poi esercitato questo sacrosanto diritto? Sono stati spediti 12.267 plichi elettorali ma sono tornate in Consolato solo 6.415 buste con schede votate. Perché? Eppoi, c’è il numero dei duplicati richiesti a Caracas. Appena 79, mentre in tutte le elezioni precedenti hanno sempre superato il migliaio. Insomma, l’occasione è propizia per una profonda riflessione e un’attenta analisi.

Questo processo elettorale, purtroppo, ha gettato più ombre che certezze. Pare ormai chiaro che, fermo restando che il voto all’estero è un diritto inderogabile, esercitarlo per corrispondenza non sembra essere la miglior soluzione. Forse bisognerà pensare a seggi elettorali distribuiti presso i viceconsolati e i nostri circoli. O a un sistema misto che preveda sia i seggi che il voto per corrispondenza, quest’ultimo almeno per coloro che vivono in aree remote e comunque distanti chilometri da consolati , clubs e Case d’Italia. E, si sa, abbondano in Venezuela. Ma questo è un altro capitolo.