Neri in rivolta, Baltimora in fiamme come Ferguson

A protestor breaks a window at a store after a rally for Freddie Gray, Saturday, April 25, 2015, in Baltimore. Gray died from spinal injuries about a week after he was arrested and transported in a police van. (ANSA/AP Photo/Patrick Semansky)

NEW YORK. – Baltimora come Ferguson, messa a ferro e fuoco. Anche qui, come per ben due volte nel giro di pochi mesi nella cittadina del Missouri, esplode la rabbia della comunità afroamericana contro i metodi violenti della polizia. Quelli che avrebbero portato all’uccisione dell’ennesimo ragazzo di colore, Freddie Gay, morto dopo l’arresto, con la spina dorsale spezzata.

Ieri era il giorno del funerale di Freddie. Ma presto le preghiere di migliaia di persone si sono trasformate in protesta, e la protesta di una parte dei manifestanti in rivolta. E la rivolta in violenze e razzie. Auto civili e mezzi della polizia dati alle fiamme, fuoco appiccato ai negozi, vetrine spaccate, un enorme incendio appiccato a un edificio in costruzione, più di un centro commerciale preso d’assalto e saccheggiato. E un fittissimo lancio di pietre e bottiglie contro la polizia, che ha portato al ferimento di almeno una ventina di agenti, di cui uno sarebbe in gravi condizioni. Insomma, scene di guerriglia urbana, con decine di arresti, e alcune zone della città al di fuori di ogni controllo.

Improvvisamente si materializza lo spettro dei moti del ’68 quando, in seguito all’assassinio a Memphis di Martin Luther King, a Baltimora si registrarono le proteste più violente, e la città per ben otto giorni fu trasformata in un vero e proprio campo di battaglia. Il presidente americano, Barack Obama, segue la situazione dalla Casa Bianca, costantemente aggiornato. Ha ricevuto nello Studio Ovale la neo ministra della giustizia Loretta Lynch, la prima afroamericana a ricoprire questa carica.

E ha chiamato il sindaco di Baltimora Stephanie Rawlings-Blake, anch’essa afroamericana. E’ lei che al calar della sera annuncia il coprifuoco dalle 10 di sera alle 5 del mattino, per una settimana intera. “Riporteremo l’ordine – dice -. Ci sono criminali in azione che vogliono distruggere la nostra città”. Intanto il governatore del Maryland, Larry Hogan, decretava lo stato di emergenza e annunciava l’arrivo di 5.000 uomini della Guardia nazionale. Una situazione quasi da legge marziale.

Al campus della John Hopkins University a tutti è stato ordinato di mettersi al riparo. Si cerca qualcuno armato. Una persona viene arrestata, ma la caccia all’uomo prosegue nella notte. E nella notte intervengono i familiari di Freddie. La sorella gemella, Fredericka, lancia un appello alla calma e si dice in disaccordo con le violenze: “Freddie non era una persona violenta”, ricorda davanti alle telecamere.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)