Missione Italiana all’Onu: Operazioni di peacekiping per ristabilire la pace

 

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NEW YORK: Gli odierni scenari di guerra che attanagliano i paesi africani e quelli del vicino Medioriente, sono da tempo al centro di un acceso dibattito in seno alle Nazioni Unite, organizzazione mondiale vicina al suo 70esimo anniversario. Nell’agenda dell’Onu significativo spazio viene oramai occupato dalla questione libica; una crisi che genera tutt’oggi nuove emergenze, come i continui naufragi di barconi lungo il Mediterraneo. Carrette del mare piene zeppe di uomini e donne in fuga da un territorio dove non appare facile trovare la pace.

Complesse questioni ampiamente affrontate in un seminario organizzato dalla Missione Italiana, Etìope ed Egiziana e tenutasi alle Nazioni Unite nei giorni scorsi, all’interno dell’International Peace Institute di New York.

Una tavola rotonda che ha visto l’intervento di vari esperti di differenti nazionalità, e che ha avuto in particolar modo ad oggetto le future strategie da adottare nell’ambito delle operazioni di peacekeeping in atto in diversi territori, quali frutto di una stretta sinergia tra l’Unione Africana, l’Unione Europea e le Nazioni Unite.

Si è parlato della necessitàdi un vero e proprio partenariato dell’Onu con le organizzazioni regionali garantendo a quest’ultime appositi canali di finanziamento e di supporto logistico, senza tralasciare l’essenziale dialogo con forze regionali già esistenti nel territorio.

A puntare i riflettori su quest’ultimo aspetto, è stato l’Italiano Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionale di Roma. Nel suo intervento Margelletti si è soffermato sul caso Libia.

“L’eventuale intervento in Libia con operazioni di peacekeeping – ha sostenuto l’esperto – non può prescindere da un essenziale dialogo con gli attori regionali, ovvero attraverso un consesso di alleanze all’interno del paese interessato. In sostanza, occorrerebbe – ha sottolineatoMargelletti – costruire una rete tribale che permetta di procedere dal basso alla scelta di una classe dirigente rappresentativa a cui poter consegnare la Libia ad operazioni militari concluse; solo in questo modo un eventuale attacco con armi non sarebbe vano, sebbene si porrebbe sempre la necessità di interagire con interlocutori che possono variare di volta in volta a secondo dei mutati assetti tribali del territorio”.

Di notevole interesse è stato anche l’intervento dell’ambasciatore Sebastiano Cardi, rappresentante permanente dell’Italia per le Nazioni Unite, il quale ha posto l’attenzione sulla necessità di adeguare le operazioni di peacekeeping lungo una piattaforma multidimensionale globale con meccanismi di risposta credibili al fine di ristabilire la pace.

“Tutto ciò – ha spiegato l’ambasciatore Cardi – favorendo risorse finanziarie agli enti regionali che operano come importanti organi satelliti delle Nazioni Unite in diversi contesti territoriali, come pure sostenere con opportuni sostegni logistici e finanziari il programma di rafforzamento dell’Unione Africana (Ten-YearCapacity Building Programme) allo scopo di intervenire nel tessuto socioeconomico dei paesi che raggruppano tale Unione”.

Un approccio al problema che tenga conto inoltre della già esistente partnership tra L’Italia, l’Etiopia, ed Egitto le quali con uno sforzo comune operano nella più vasta zona del Mediterraneo nella quale rientra prepotentemente la ormai nota quanto spinosa questione libica.

(Gero Salamone/Voce)