La nuova criminalità e la violenza in Venezuela

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Nulla di nuovo, purtroppo. Semmai, la notizia conferma la nostra percezione quotidiana. Il Venezuela è tra i paesi più violenti e pericolosi al mondo. A voler essere pignoli, il terzo paese più violento al mondo. Sul podio d’onore di questo triste primato è accompagnato da Honduras, che detiene la leadership, e dalla Siria. Ma quest’ultima ha comunque un’attenuante: nel suo territorio si combatte una lunga guerra fratricida che rischia di creare nella regione squilibri ancor più severi di quelli già esistenti.

Presentato recentemente a Ginevra, il rapporto realizzato dal Programma dell’Onu per lo Sviluppo (Undp), titolato “GlobusBurden of ArmedViolence”, illustra una realtà inquietante: dal 2007 al 2012 sono morte ogni anno 508mila persone di morte violenta. Sebbene abbiano subito una lieve flessione gli omicidi volontari, sono aumentate le vittime dei conflitti. Ciò ci pone di fronte ad una drammatica realtà: sono sempre piùnumerosi i teatri di guerra.

Ma torniamo a questa parte del mondo. Da un recente studio della “Coalición Latinoamericana para la Prevención de la Violencia Armada” emerge che il 42 per cento degli omicidi con arma da fuoco avviene in America Latina. E Venezuela, dopo Honduras, è il paese più violento del continente americano.

Oggi la criminalità in Venezuela assume caratteristiche inquietanti. E Fermìn Marmol García, avvocato e criminologo, le illustra con chiarezza. Non si parla più di criminalità giovanile. O, almeno, non solo più di quella. Negli ultimi anni si è fatta spazio con prepotenza un’altra categoria. Ci riferiamo alla criminalità adolescente, quella riconducibile a una fascia di età che oscilla tra i 15 e 17 anni e anche inferiore. Per questi, assassinare vuol dire conquistare, nell’ambiente dove operano, uno “status” che si traduce in potere. E quanto più si uccide e quanto più si è temuti, tanto più potere si ottiene e tanto più si è rispettati. Da qui la facilità con cui si preme sul grilletto e l’incremento dei delitti anche per ragioni futili. Non reagire alla rapina o al furto non assicura la propria incolumità. La vita in Venezuela, oggi, è sottoposta ad una permanente “roulette russa”.

I delinquenti adolescenti, poi, agiscono sicuri perché sanno che la legge – com’è giusto che sia – li protegge. E infatti, sono minime le conseguenze per un minorenne arrestato mentre commette un qualunque reato.

Progresso, crescita, maturazione. Altri due fenomeni dimostrano l’evoluzione della criminalità nel paese e le conseguenze che da essa derivano. In primo luogo, l’adolescente che prima agiva in solitario o, al più, con l’aiuto di un complice ha cominciato a organizzarsi in bande ben strutturate che seminano il terrore tra la popolazione del luogo in cui hanno il loro “quartier generale”. Secondo il grado di sofisticazione, queste bande, nei loro forzieri, mantengono una quantità di denaro in moneta contante e suonante sufficiente per pagare avvocati o corrompere, nel caso che un loro membro sia arrestato. E, poi, hanno capito l’importanza d’essere ben armati. Da qui i sempre più frequenti assassini di poliziotti col solo obiettivo di rubare loro l’arma e le munizioni.

“Dulcis in fundo”, l’impunità. Ad alimentare la delinquenza, che ormai impera in ogni angolo del Venezuela, è l’impunità. Si stima che il 96 per cento dei crimini nel Paese resta impunito.

Risolutezza, determinazione e impegno. La percezione che oggi ha il venezuelano è che non solo lo Stato è debole ma soprattutto che nel Governo non vi sia la volontà di arginare e combattere la criminalità che ormai colpisce tutti indistintamente dal più povero al più ricco.

Le “aree di pace”, proposte dal viceministro degli Interni Josè Vicente Rangel Avalos, più che uno strumento di “pacificazione e reinserimento nella società” sono interpretate come un segnale di debolezza dal cittadino indifeso. E d’altronde, come dimostrano i fatti, le “aree di pacificazione”, in cui le forze dell’ordine non hanno alcun potere, si stanno straformando in rifugio di bande armate. Tanti venezuelani che vivono in queste “aree di pacificazione” stanno decidendo di emigrare altrove, come unica arma di difesa contro i soprusi e le angherie alle quali sono soggetti. I delinquenti, come in Italia la mafia, la ‘ndragheta o la camorra, impongono le loro leggi e i loro codici di comportamento.

Sconfiggere la criminalità non è facile. Ma neanche impossibile. Lo dimostrano metropoli come New York, Bogotá e Medellín, fino a ieri considerate città molto pericolose. Ma tutto è riconducibile alla volontà politica di affrontare il tema e di cercare una soluzione. Se manca la volontà politica, ogni sforzo delle forze dell’ordine e della società civile resta lettera morta.

Il tema dell’insicurezza e della criminalità sicuramente animerà, assieme ad altri non meno importanti, la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento. Stando al presidente del Consiglio Nazionale Elettorale, TibisayLucena, le prossime elezioni dovrebbero svolgersi nel quarto trimestre del 2015. D’altronde, la Costituzione stabilisce che il nuovo Parlamento dovrà insediarsi il 5 gennaio del prossimo anno, E’ quindi plausibile pensare che, nonostante i ritardi inconsueti e incomprensibili nel fissare una data, questa potrebbe essere stabilita tra la fine di novembre e la prima settimana di dicembre.

I sondaggi parlano chiaro. E indicano che mai come oggi l’Opposizione abbia la vittoria a portata di mano. Ma i sondaggi, come mostrano esperienze recenti, sono spesso superati da fenomeni psicologici congiunturali che riescono a mutare la percezione dell’elettorato. E, quindi, anche i risultati finali. Un qualunque provvedimento, anche un fenomeno naturale, potrebbero trasformarsi improvvisamente nell’ago della bilancia.

Tanti gli argomenti che l’Opposizione potrebbe fare suoi: criminalità, alto tasso d’inflazione, file davanti ai supermarket, mancanza di medicine, precarietà nell’assistenza ospedaliera, carenza di lavoro formale, tanto per nominare i più importanti. Ma, in cambio, hanno a loro svantaggio l’abilità mostrata dal Governo nel definire la campagna propagandistica e, soprattutto, l’enorme rete di “mass-media” dello Stato o riconducibile comunque al “chavismo”. I “mass-media” indipendenti sono un’infima minoranza. E la loro penetrazione sempre più limitata. Per superare questo scoglio, i candidati dovranno avvalersi delle nuove tecnologie ma anche del tradizionale “porta a porta”. Un sistema di campagna elettorale, quest’ultimo, che alcuni consideravano ormai superato, ma che oggi appare come l’unico attraverso il quale i candidati dell’Opposizione potranno stabilire un contatto diretto con l’elettorato per convincerlo a “cambiare verso”.

(Mauro Bafile/Voce)

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