Appello dell’Unesco, la guerra risparmi Palmira

Site de Palmyre

BEIRUT. – Allarme all’Unesco per l’avvicinarsi al sito archeologico di Palmira, nella Siria centrale, della battaglia tra le forze governative e i miliziani dello Stato islamico. E mentre il governo di Damasco evoca una “catastrofe internazionale”, gli esperti ricordano che le stesse forze lealiste hanno da oltre due anni trasformato l’area archeologica romana in un’enorme caserma a cielo aperto. Secondo attivisti sul terreno, l’Isis è ora ad appena un chilometro dalla città moderna di Palmira ma le forze governative hanno inviato rinforzi.

Talal Barazi, governatore di Homs, capoluogo della regione centrale dove si trova il sito, assicura che “la situazione è sotto controllo” e che l’aviazione di Damasco ha bombardato le postazioni jihadiste. Palmira è tristemente nota in Siria perché ospita una delle carceri e luoghi di tortura più duri per i dissidenti politici.

L’Isis è avanzato da giorni da est e da nord, attestandosi da ieri ad Amriye, sobborgo settentrionale di Palmira. Ieri i jihadisti hanno ucciso 26 persone, secondo alcune fonti, militari, secondo altre civili. Fonti locali affermano che centinaia di famiglie, molte delle quali già sfollate da altre zone in guerra, sono fuggite dalla città.
Palmira – anche nota come Tadmor – era fiorita nell’antichità come punto di sosta per le carovane che attraversavano il deserto siriano. Già citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, l’area era stata in seguito incorporata nell’impero romano.

L’avvicinarsi dell’Isis ha evocato in molti il terrore che i miliziani possano riservare a Palmira lo stesso destino toccato ai siti iracheni di Ninive, Nimrud e Hatra a sud di Mosul. “L’allarme esiste ma il contesto è diverso”, afferma Alberto Savioli, archeologo dell’Università di Udine con decennale esperienza in Siria e in Iraq. Parlando con l’Ansa, Savioli ricorda che “finora l’Isis non ha danneggiato siti siriani altrettanto importanti, come Dura Europos, Mari, Rasafa nel nord e nell’est del Paese. Nonostante “vi siano notizie di saccheggi questi patrimoni non sono stati finora toccati”.

“Nimrud e gli altri siti iracheni – prosegue Savioli – sono stati in parte distrutti per la loro valenza religiosa e politica. Per la presenza di statue e bassorilievi raffiguranti idoli e divinità, bandite dalla visione jihadista”.
Dal canto suo Maamun Abdelkarim, nominato dal governo direttore delle antichità in Siria, ha invocato un non meglio precisato soccorso della comunità internazionale per scongiurare “una catastrofe nazionale”. Quando per mesi nel 2013 Palmira fu conquistata da miliziani delle opposizioni, l’area archeologica non fu danneggiata.

Più che la minaccia distruttrice dell’Isis, quello che preoccupa per le rovine romane e dell’epoca della regina Zenobia è l’approssimarsi degli scontri. Colpi di mortaio sono già caduti nei giorni scorsi sulla parte moderna. E nei combattimenti del 2013 tra governativi e ribelli il tempio di Baal fu gravemente danneggiato.

“Il regime ha scavato trincee all’interno del sito, ha parcheggiato i carri armati lungo i colonnati, ha aperto il fuoco contro antiche mura”, ricorda Savioli. E la responsabile dell’Unesco, Irina Bukova, dicendosi “allarmata”, ha ribadito di aver “chiesto alle parti coinvolte di lasciar fuori il sito dalla loro attività militare”.

(di Lorenzo Trombetta/ANSA)

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