L’Ue sostiene i partner dell’Est, ma chiude ad allargamento

Vertice Ue di Riga: foto di gruppo

RIGA. – L’Europa riconferma i legami con la “partnership orientale”, continua a considerare “illegale l’annessione della Crimea”, ma cambia registro del linguaggio e chiude la porta ai sogni di Ucraina, Georgia e Moldova di entrare nella Ue almeno per i prossimi cinque anni. Garantisce sostegno economico a Kiev e firma il memorandum che assegna una terza tranche di aiuti da 1,8 mld di euro se l’Ucraina continuerà a procedere nel processo di riforme concordato.

Promette che arriverà “entro il 2016” anche per Ucraina e Georgia l’ok alla liberalizzazione dei visti che la Moldova ha già ottenuto nel 2014 e che il presidente Poroshenko ed il premier Garibashivili reclamano a gran voce di “meritare”. Ma la promessa arriva a condizione che entro la fine dell’anno Bruxelles riscontri il raggiungimento dei “requisiti tecnici” richiesti. E la Ue promette anche di stringere i rapporti commerciali e di cooperazione anche con Armenia, Azerbaigian e li riallaccia con la Bielorussia. Ma non impone più standard. In gioco, l’apertura a relazioni privilegiati per interconnessioni energetiche e opportunità di mercato, accompagnate da una esportazione di democrazia in versione ‘light’.

Ora si parla di “relazioni su misura”, come sottolinea il presidente del Consiglio Donald Tusk nella conferenza stampa finale. Insomma, con tutte le ex repubbliche sovietiche, fidanzamenti di interesse senza promessa di matrimonio. Davanti all’ingresso del vertice una trentina di dimostranti mostrano bandiere ucraine e georgiano ed espongono cartelli che chiedono alla Ue di essere difesi da Mosca. Ma “l’ombra della Russia si è allungata sul vertice di Riga” sintetizza il premier belga, Charles Michel.

Diciotto mesi dopo il vertice di Vilnius che scatenò la rivoluzione di piazza Maidan ed il ritorno della guerra fredda in Europa, il summit di Riga cambia registro. Da Tusk a Gentiloni, un po’ tutti i protagonisti della Ue rassicurano: la “partnership non è contro la Russia”. “Nulla cambia nelle nostre intenzioni” afferma il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, ma “abbiamo fatto il massimo che potevamo raggiungere oggi” ammette spiegando le conclusioni del vertice del partenariato orientale di Riga. Che suonano al ribasso, visto che nella versione finale sparisce il riferimento alle “prospettive europee” di Ucraina, Georgia e Moldova, su cui gli sherpa avevano trovato l’accordo.

Dopo la consultazione tra i leader, si riconoscono invece solo le “aspirazioni europee”. Cambio semantico significativo di quello che Tusk definisce un “drafting difficile”. Fino all’ultimo: l’Azerbaigian (decisiva alternativa energetica, visto che da qui parte il gasdotto Tap) infatti pone il veto alla dichiarazione finale per il riferimento alla guerra congelata nel Nagorno-Karabakh. Tusk deve telefonare al presidente Aliyev, per sbloccare la situazione.

Riconferma che presto andrà a Baku e garantisce che la Ue “stringerà i rapporti contrattuali” con l’Azerbaigian. Che però, come suggerisce il presidente della commissione esteri del Parlamento Elmar Brok, “teme per la sicurezza del paese”. Visto che nessuno può garantire che Vladimir Putin, di cui la Ue ha bisogno per il negoziato in Iran, per la risoluzione al Consiglio di Sicurezza sulla missione anti-scafisti e per affrontare le sfide contro l’Isis, può garantire che cambi politica.
(dell’inviato Marco Galdi/ANSA)