Generazioni contro, 760mila in pensione da più di trent’anni

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ROMA. – Immaginiamo due compagne di banco nate nel 1953 e ipotizziamo due diversi percorsi di vita: una impiegata nel pubblico impiego è andata in pensione nel 1992, a 39 anni (era possibile fino al 1992 avendo 14 anni sei mesi e un giorno di contributi essendo madre) e l’altra, dipendente del settore privato è ancora in ufficio e probabilmente non potrà uscire prima del 2018 ad almeno 66 anni e sette mesi, quasi 27 anni più tardi.

Sono storie vere, rese possibili dalle regole che si sono susseguite negli ultimi 40 anni e leggibili nelle statistiche Inps secondo le quali nel 2014 c’erano ancora, esclusa la gestione dei dipendenti pubblici e dei lavoratori dello spettacolo che abbassano ulteriormente la media, oltre 760.000 persone in pensione di vecchiaia o di anzianità da oltre 30 anni (230.000 da oltre 35).

E’ probabile quindi che nel complesso, tra pubblico, privato e spettacolo, le persone a riposo da oltre trent’anni sia superiore a un milione. Nel pubblico le pensione di anzianità vigenti sono oltre 1,54 milioni, più della metà dei 2,8 milioni complessivi (comprese inabilità e superstiti). Le contraddizioni del sistema sono quindi sia tra le generazioni sia all’interno della stessa generazione.

Chi ha cominciato a lavorare a 30 anni nel 1995 per non avere una pensione troppo bassa dovrà stare in ufficio fino a quasi 70 anni e avrà un aspettativa di vita con l’assegno in tasca di circa 15 anni. Sulla necessità di non penalizzare troppo le generazioni più giovani hanno insistito il presidente dell’Inps, Tito Boeri e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e chissà che su questa scia non possa valutarsi un contributo sulle baby pensioni, un fenomeno che riguarda ancora quasi 500.000 persone che si sono ritirate prima dei 50 anni. Secondo gli osservatori statistici Inps per gli oltre 229.000 pensionati di vecchiaia e anzianità (non sono comprese le invalidità previdenziali nè i trattamenti assistenziali) con assegni anteriori al 1980 l’età media alla decorrenza era di 55,27 anni (53,30 per quelli di anzianità).

Se si guarda alla vecchiaia l’età media di uscita è aumentata di quasi 11 anni (da 55,7 a 66,4 grazie soprattutto all’aumento dell’età delle donne). E proprio sull’introduzione di maggiore flessibilità per le donne che lavorano ha insistito il premier, Matteo Renzi riferendosi a coloro che vogliono fare diverse scelte di vita magari rinunciando a una parte della pensione (la nonna che vuole occuparsi del nipotino).

La stretta della riforma Fornero ha prodotto effetti significativi sull’incremento dell’età di uscita e sul crollo delle pensioni anticipate: nel 2014 gli assegni liquidati prima dell’età di vecchiaia sono stati 83.822, il 43% in meno di quelli del 2011 prima della riforma (149.129) e meno di un terzo di quelli del 2003 (oltre 256.000).

(di Alessia Tagliacozzo/ANSA)