… e il dollaro divora il bolívar

VENEZUELA-Ca-da-en-el-precio-del-oro-aumenta-presi-n-sobre-reservas-internacionalesL’argomento, è facilmente intuibile per il clima politico che vive il Venezuela, ha destato tanto interesse. Non solo. E’ stato anche motivo di preoccupazione e tema di analisi. Oggi, chiusa la parentesi delle primarie dell’Opposizione e lasciata alle spalle la visita degli ex presidenti Pastrana e Quiroga, l’attenzione torna irrimediabilmente sulla crisi. Non sulla guerra economica né sul “nemico straniero” ai quali fanno riferimento a turno il presidente Maduro, i membri del governo, i deputati filo-governativi o gli esponenti dello Psuv, ogni qualvolta ne hanno l’occasione; ma sulla svalutazione accelerata del bolívar. La scorsa settimana è stato forato il tetto dei 400 bolívares per un dollaro nel mercato nero; una soglia, devastante a livello psicologico, che appena qualche mese fa pareva impossibile. Il divario tra il costo del dollaro nel “mercato parallelo” e quello nel “mercato ufficiale” stabilito dal controllo dei cambi è sempre più grande. Se, come si teme, la tendenza dovesse confermarsi nelle prossime settimane è assai probabile che alla fine i pronostici dei “profeti del disastro” si trasformeranno in realtà. E a dicembre per acquistare un dollaro si dovranno pagare mille bolìvares se non di più. In altre parole, la valuta nordamericana sta mangiando il bolívar; anzi, sbranando la nostra moneta.
Il governo ha accusato il sito “Dolar Today”, reo di aver reso noto il costo del dollaro nel mercato nero, di complicità con una presunta cospirazione straniera. Una volta ancora si attacca l’effetto ma non la causa. Non dubitiamo che possano esistere interessi esterni che scommettono sulla “débâcle” economica del Paese. Come afferma un vecchio e saggio proverbio venezolano “siempre hay quien pesca en río revuelto”. Ma la verità è che all’origine della crisi vi sono anche tante decisioni errate e provvedimenti inconsueti.
Il Venezuela, negli ultimi dieci anni, ha ottenuto circa 10 mila miliardi di dollari dalla vendita del greggio. E’ questa una cifra da capogiro che ha permesso all’economia di crescere e al governo di creare quegli ammortizzatori sociali di cui il Paese aveva bisogno. Ma oggi le circostanze sono avverse. Il calo dei prezzi del barile di petrolio – circa 49 per cento meno se lo si paragona con il primo quadrimestre dello scorso anno – ha fatto emergere tutte le debolezze di un modello di sviluppo ormai logoro e con severe deformazioni.
E’ evidente la necessità di un colpo di timone. Ma risulta chiaro che, alla vigilia di un’importante sfida elettorale come le prossime parlamentarie, questo non sarà possibile. Obiettivamente sarebbe un suicidio politico. Tutto è quindi rimandato al prossimo anno, a quando gli elettori si saranno pronunciati depositando il proprio voto e la geografia politica del Parlamento avrà il suo nuovo assetto; assetto che inciderà sul futuro del Paese.
Nel frattempo la crisi economica morde. Ne sono dimostrazione la recessione, l’inflazione, la mancanza di prodotti e la svalutazione. Tutti gli organismi internazionali, chi più chi meno, coincidono nell’affermare che il Prodotto Interno Lordo del Paese, alla fine dell’anno, registrerà una contrazione del 6 o 7 per cento. Certamente si avrà un calo del Pil oltre ogni aspettativa e comunque superiore a quello già rilevato negli anni scorsi. L’inflazione, dal canto suo, sarà di oltre il 100 per cento. Sul tema la Banca Centrale, l’organismo che mensilmente dovrebbe informare sul costo della vita, non si è pronunciato ancora. E non l’ha fatto fin dall’inizio dell’anno. Ma economisti ed esperti in materia stimano che l’inflazione quest’anno non sarà inferiore al 150 per cento. E c’è anche chi sostiene che potrebbe essere superiore. A volte, per spronare l’economia e incoraggiare la produzione si stimola l’inflazione. Questa, quindi, nei parametri compatibili con lo sviluppo economico non è il “demonio” che molti immaginano. In Venezuela, invece, si è trasformata in un’imposta che castiga particolarmente chi meno ha. E a essa deve sommarsi la mancanza di prodotti che ha obbligato il governo a imporre il razionamento. Nonostante tutto, le file alle porte dei supermarket e dei generi alimentari crescono e sono già parte del panorama metropolitano. La città si sveglia con le file di consumatori in cerca di prodotti e medicine e si addormenta con esse.
Fiducia. Pare sia questa la parola “chiave”, oggi, per capire il fenomeno che sta conducendo al progressivo deprezzamento della moneta. La svalutazione del bolívar è il riflesso naturale del deterioramento dell’economia. Quando si perde la fiducia nella capacità di ripresa del Paese, nasce un’insaziabile fame di valuta pregiata.
La banca d’investimenti con sede a New York, Jefferies Group, in un suo rapporto recente ritiene che in Venezuela vi sia una “profonda crisi di fiducia”. E sostiene che anche in assenza di indici economici è evidente che si è alla presenza di una crisi economica assai profonda. Sempre stando alla banca d’investimenti ne sono riprova la svalutazione della moneta e il divario netto tra il “mercato nero” della valuta e quello controllato dalle autorità monetarie.
Luis Vicente Leòn, direttore di Datanálisis, coincide con questa percezione della realtà venezuelana. Sostiene che il costo del dollaro è in netto aumento perché non vi è alcuna fiducia nelle politiche delle autorità competenti. In conseguenza, i venezuelani cercano rifugio nella valuta pregiata. Questa ricerca di dollari e di euro, inoltre, riflette gli umori del consumatore e la percezione che ha della realtà quotidiana. Soprattutto della capacità delle autorità di governarla e di cambiarla.
Le preoccupazioni dei consumatori e la perdita di fiducia nelle capacità di ripresa del Paese coincidono con la violenta riduzione delle Riserve Internazionali e l’apparente mancanza di vie alterne di finanziamento. Le Riserve Internazionali depositate nella Banca Centrale, stando a quanto affermato recentemente dal deputato Ellías Matta, membro della “Commissione di Finanza”, si stimano in questo momento in poco più di 17 miliardi di dollari. Si è registrata una riduzione di oltre 6 miliardi negli ultimi tre mesi. E’, questa, una cifra in linea con il pagamento di parte delle obbligazioni internazionali che scadono quest’anno e che, nel loro complesso, si calcolano in oltre 10 miliardi. Di questi, fino ad oggi, ne sono stati già pagati quasi 5mila.
La sfiducia nel Paese, che si basa oltre che su cifre reali soprattutto sulla percezione che si ha del futuro, è oggi all’origine dell’accelerata svalutazione della moneta. Questa potrà essere arginata, abbattuta e ribaltata solo attraverso un intervento delle autorità. Altrimenti si dovrà attendere le elezioni parlamentarie e sperare che il prossimo assetto istituzionale restituisca ottimismo al consumatore, all’investitore e al cittadino in generale. La fiducia in un Paese, in sintesi, è un elemento psicologico volubile, capriccioso e incosta.
Mauro Bafile