Sondaggi: continua l’erosione del consenso di Renzi e del Pd

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ROMA. – Matteo Renzi accelera sulla riforma della governance, come aveva promesso poche ore dopo il deludente risultato delle amministrative. Il cambio della guardia alla Cassa depositi e prestiti, con le dimissioni di Franco Bassanini e l’arrivo di Claudio Costamagna, sembra far parte di una strategia concordata con Pier Carlo Padoan per attribuire un nuovo ruolo alla cassaforte controllata da Mef e Fondazioni bancarie: in poche parole la trasformazione della Cdp in volano della ripresa e degli investimenti pubblici a sostegno dell’economia reale.

Ruolo cruciale alla luce della crisi greca che sarà esaminata lunedì prossimo dal Consiglio straordinario della Ue convocato per scongiurare il default di Atene. L’Italia è infatti tra i principali creditori del Paese ellenico e una dichiarazione di insolvenza da parte del governo Tsipras (che ancora non si può escludere) creerebbe un nuovo buco nei nostri conti pubblici.

A Bassanini sarà attribuito il ruolo di consigliere speciale del premier per la banda ultralarga (un altro degli obiettivi strategici di palazzo Chigi): alla sua gestione è stato riconosciuto di aver conseguito negli ultimi anni importanti risultati, ma sono parole che mascherano a fatica la decisione del Rottamatore di passare ad un’altra politica della Cdp, più espansiva – sembra di capire – e di sostegno agli investimenti.

Per blindare la timida ripresa Renzi ha bisogno anche di riorganizzare le retrovie. Nel Pd romano sono stati annunciati profondi cambiamenti ”strutturali”: resta da capire se al sindaco di Roma sarà chiesto un passo indietro come a Bassanini. Ignazio Marino resiste, ma il suo cammino è complicato dalla richiesta del segretario-premier di rinnovare sostanzialmente la giunta, fornendo quella prova di capacità di governo pubblicamente sollecitata in Tv dal Rottamatore.

Il caso degli stipendi accessori dei dipendenti comunali, contestati dal ministero dell’Economia in quanto non legati alla produttività come era stato concordato in passato, lo pone in rotta di collisione con i vertici del Tesoro: il sottosegretario all’ Economia Zanetti accusa infatti i sindacati (che minacciano lo sciopero) di irresponsabilità, Marino si schiera invece al loro fianco e fa sapere che i salari non si toccano.

L’impressione è che nella Capitale tutto sia collegato alla riforma del Pd locale, mentre anche gli alleati di Sel cominciano a dare segni di insofferenza: Nicola Fratojanni chiede di dare una prova di discontinuità forte con un nuovo programma sul quale si esprima anche Renzi, altrimenti significa che a Roma c’è già un commissario di fatto.

Infine, il fronte della ”buona scuola”. Dal vertice del Pd è giunto un appello alle opposizioni perché si tratti oppure la fiducia sarà inevitabile. L’ipotesi è che il governo possa presentare al Senato un maxiemendamento contenente alcune delle proposte di modifica della sinistra dem e dei sindacati: un passaggio che metterebbe la minoranza nella condizione di optare tra l’approvazione e la caduta dell’esecutivo.

Difficile che gli antirenziani se ne assumano la responsabilità, anche perché la nascita della corrente ”Sinistra è cambiamento” di Damiano e Martina riduce oggettivamente gli spazi dell’oltranzismo. Damiano ha spiegato che la sua componente crede nel governo e vuole accelerare sulle riforme, per cui agli oppositori interni del segretario-premier non resta che invocare da parte di Renzi un clima più costruttivo e dialogante (Speranza).

Del resto Ettore Rosato e Debora Serracchiani si chiedono come sia possibile che la Cgil bocci un provvedimento che rappresenta ”il più grande piano di assunzioni della storia della Repubblica” con la stabilizzazione di centomila precari. Finirà a colpi di fiducia, pronostica Forza Italia. Come sulle altre riforme, a partire dal Jobs Act.

Si tratta di vedere se ciò riuscirà ad invertire il trend negativo dei sondaggi che segnalano la continua erosione del consenso di Renzi e del Pd.

(di Pierfrancesco Frerè/Ansa)

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