Casa Bianca, Democratici e Repubblicani scaldano i motori

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NEW YORK: Una valutazione errata; forse un eccesso di fiducia nelle proprie forze. Comunque un errore. A dare le spalle al presidente Obama, e a negargli il “Fast-Track” – la corsia preferenziale per firmare entro tempi relativamente brevi il “Trattato per il Commercio e gli Investimenti con l’Asia e il Pacifico” (Ttip) – sono stati proprio i deputati Democratici.

E’ risultata infatti determinante la loro diserzione in massa. Anche Nancy Pelosi, capogruppo dei democratici, e Hillary Clinton, candidata alle primarie, hanno preferito non essere presenti al momento del voto decretando la pesante sconfitta del presidente, che ha ricevuto il sostegno solido ma comunque insufficiente dei Repubblicani.

Il presidente Obama si era reso conto che qualcosa non andava per il verso giusto. E all’ultimo momento ha avvicinato personalmente i big del partito. Ma è stato troppo tardi. Ora è assai probabile che Obama non riesca a firmare, prima della conclusione del suo mandato, il trattato che coinvolge anche il Giappone e l’Indonesia. Ancor meno, quello con l’Europa, i cui negoziati sono assai complessi, delicati e tuttora in pieno sviluppo.

Sono troppi, in un momento in cui l’America si appresta ad entrare nel vivo del dibattito elettorale che fin d’ora si annuncia senza esclusione di colpi, gli interessi in campo. La ragione che ha mosso i Democratici a dare le spalle al loro presidente è nella natura stessa dell’accordo. Una parte consistente dell’Opinione pubblica, che fa capo ai Democratici, ritiene che il Ttip, come gli ultimi negoziati nel Wto e nella Nafta, non tutelano sufficientemente lavoro e ambiente.

In altre parole, mentre le organizzazioni dei lavoratori temono che la firma dell’accordo possa tradursi in una flessione dell’occupazione quelle ambientali paventano una difesa debole e poco idonea dell’ecosistema.

L’America, oggi, è particolarmente sensibile ai temi economici. Dopo una lunga crisi, che ha provocato perdita di posti di lavoro, chiusura di aziende e passi indietro nella qualità di vita, il sogno americano pare decollare nuovamente. Il Prodotto Interno Lordo, dopo la profonda recessione degli anni scorsi, torna a crescere. Ma non secondo il suo potenziale. Gli esperti, stimano che il ritmo di crescita dovrebbe subire un’accelerazione nei prossimi mesi.

Stando così le cose, la crescita del Pil aziendale, quest’anno, si stima attorno al 2,5 per cento e, nel 2016, dovrebbe attestarsi intorno al 3 per cento. Non sono i ritmi che ci si attendeva e che gli economisti proiettavano nei loro grafici. Gli esperti ritengono che la Fed, al momento di analizzare l’eventuale incremento dei tassi d’interesse, dovrà tenere nella dovuta considerazione il fenomeno. Il tasso d’interesse dovrebbe restare inalterato fino almeno al primo semestre del prossimo anno, in modo da dare all’economia la possibilità di accelerare la crescita e di renderla più solida.

Lo sviluppo economico, in questi mesi, sarebbe stato frenato da una serie di piccoli shock. Tra questi, un inverno insolitamente più freddo delle attese e un dollaro eccessivamente forte nei mercati internazionali. E così il Fondo Monetario Internazionale, alla fine, ha deciso di tagliare le stime di crescita da 3,1 per cento al 2,5 per cento per il 2015.

Se da un lato la crescita dell’economia si manifesta a ritmi inferiori alle attese, dall’altro pare poco probabile che si riesca a raggiungere l’obiettivo di incrementare il tasso d’inflazione fino a portarlo al 2 per cento. In questo panorama di bassa crescita economica e inflazione 0, la Fed sicuramente attenderà prima di decidere di aumentare, per la prima volta in quasi 10 anni, i tassi d’interesse. Non è in gioco solo la credibilità della Fed ma anche la futura crescita economica del Paese.

Infatti, una decisione affrettata e non maturata potrebbe avere riflessi catastrofici su un’economia ancora debole. Il Fondo Monetario Internazionale sottolinea che “aumentare i tassi d’interesse troppo presto potrebbe causare una stretta nelle condizioni finanziarie superiore alle attese, facendo fermare l’economia”. Una tale eventualità obbligherebbe la Fed ad un passo indietro con un alto costo in termini di prestigio e credibilità.

Alla contenuta crescita economica ha contributo anche il valore del dollaro che, stando al Fondo Monetario Internazionale, è “moderatamente sopravvalutato”. Un suo ulteriore apprezzamento ridurrebbe la competitività dei prodotti locali nei mercati internazionali, provocherebbe un incremento delle importazioni, causerebbe una battuta d’arresto nelle industrie e determinerebbe un calo nell’occupazione.

Comunque sia, l’economia americana è tornata a crescere e, con essa, anche la creazione di posti di lavoro. I segnali sono ancora deboli, ma comunque importanti in un paese che si avvia ad affrontare una campagna elettorale che se non vi saranno colpi di scena promette concentrarsi su due argomenti: economia e diplomazia. Ovvero, politica interna e politica estera.

Il presidente Obama lascerà la presidenza della Repubblica consegnando un paese che, dopo una profonda recessione, è di nuovo in crescita. Sarà questo probabilmente il cavallo di battaglia che cavalcheranno i candidati Democratici. E su questo argomento cercheranno di orientare il dibattito. Crescita economica, sviluppo industriale, posti di lavoro, qualità di vita. E’ il sogno americano che torna a far capolino dopo anni di sacrifici, frustrazioni e delusioni. La crisi è stata sofferta specialmente dalla classe media, quella che negli anni del boom economico ne è stata il motore.

Il dibattito, poi, potrebbe vedere a confronto i difensori delle politiche di espansione e i paladini dell’austerity. Quindi, il ritorno di Keynes, che ha ispirato le politiche di Obama ma che è sempre stato mal visto dai conservatori.

Il premio Nobel Paul Krugman, in un suo recente articolo, spiega che “la destra è stata sempre profondamente ostile all’idea che politiche di bilancio espansive possano essere utili, in qualsiasi situazione, o che politiche di rigore possano essere dannose, in qualsiasi situazione. Nella maggior parte dei casi, lo schieramento conservatore ha visto con fastidio anche le politiche monetarie espansive”.

La crisi del 2013 è ormai alle nostre spalle. E, stando ai risultati, la politica espansiva pare stia dando ossigeno ed energia all’economia e nuovo impulso alla ripresa.

Nella misura in cui i Democratici sono orientati a focalizzare il dibattito nella politica interna, in egual misura i repubblicani sono propensi a orientare il confronto sulla politica estera.
Come ha scritto Richard N. Haass in un suo recente articolo pubblicato da “Project-Syndicate”, “alle elezioni del 2016 mancano ancora 17 mesi e possono accadere tante cose”.

Haass considera che il nucleare, le negoziazioni con l’Iran, il mutamento climatico, la guerra all’Is, la scalata militare in Iraq e Siria, l’avanzata dello Stato Islamico, e la retorica russa saranno argomenti che non sfuggiranno alla polemica e al dibattito elettorale. Su questi temi, i Repubblicani sicuramente attaccheranno l’amministrazione del presidente Obama.

Oggi, comunque, l’attenzione è rivolta agli aspiranti alla presidenza e alla loro offerta elettorale. Una volta superate le primarie, si assisterà al rush finale e dire oggi quali argomenti, tra quelli segnalati, prevarranno definitivamente nel dibattito è ancora prematuro.

(Mariza Bafile/Voce)

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