Papa: ecco il testo della poesia “Rassa nostrana”

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ROMA. – E’ dedicata “aj Piemunteis ch’a travajo fora d’Italia”, ai piemontesi che lavorano all’estero, la poesia “Rassa nostrana” di Nino Costa, recitata da Papa Francesco nell’omelia della messa di Torino.

Ecco le prime strofa in piemontese e il testo integrale tradotto in italiano.

“Drit e sincer, cosa ch’a sun, a smijo: teste quadre, puls ferm e fìdic san a parlo poc ma a san cosa ch’a diso bele ch’a marcio adasi, a van luntan. Sarajé, müradur e sternighin, minör e campagnin, sarun e fré: s’a-j pias gargarisé quaic buta ed vin, j’é gnün ch’a-j bagna el nas per travajé…”

“Diritti e sinceri, quel che sono, appaiono: teste quadre, polso fermo e fegato sano: parlano poco, ma sanno quel che dicono: pur camminando adagio, vanno lontano.

Seraiè, muratori e sternighin, minatori e contadini, saron e fabbri, se gli piace gargarizzare qualche bottiglia di vino, non c’è nessuno che gli bagni il naso nel lavorare.

Gente che non mercanteggia tempo e sudore – razza nostrana, libera e testarda – tutto il mondo sa chi sono e quando passano, tutto il mondo li guarda.

Biondi canavesani con gli occhi color del cielo, robusti e fieri come i loro castelli. Montanari valdaostani dai nervi d’acciaio, maschi della Val Susa duri come martelli.

Facce di Langa, rubiconde di allegria; “ferlingot” disinvolti della pianura vercellese e biellesi trafficoni pieni di energia che per conoscerli ci voglion sette anni e un mese.

Gente di Cuneo: paziente e un po’ lenta che ha le scarpe grosse e il cervello fino, e gente monferrina che, parlando, canta, che spumeggia, frizza, ribolle… come i suoi vini.

Tutto il Piemonte che va a cercarsi il pane, tutto il Piemonte con la sua parlata fiera, che nelle battaglie del lavoro umano, tiene alta la fronte… e la bandiera.

O bionde di grano, pianure Argentine fazende del Brasile perse nella campagna, non sentite mai passare un’aria monferrina o il ritornello di una canzone di montagna?

Miniere di Francia, miniere di Alemagna, che il fumo circonda come una frangia, voi lo potete dire se se lo guadagna il nostro operaio, quel pezzo di pane che mangia.

Qualche volta ritornano, e i soldi risparmiati gli rendono una casetta o un pezzo di terra e allora allevano le loro figlie (…) e i ragazzoni che hanno vinto la guerra

Ma il più delle volte una stagione perduta o una febbre o un malanno da lavoro, li inchioda in una tomba spoglia persa in un cimitero straniero”

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