Cresce il potere d’acquisto e le famiglie tornano a risparmiare

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ROMA. – Cresce il potere d’acquisto delle famiglie italiane, che a inizio 2015 mette a segno il rialzo più forte dal 2007. Tanto che si torna anche a risparmiare. E non sono solo i bilanci delle famiglie a tirare il fiato, ma anche i conti pubblici: sempre tra gennaio e marzo, il rapporto tra il deficit e il Pil si ferma al valore più basso, anche in questo caso, da otto anni, cioè dal periodo immediatamente precedente all’esplosione della crisi.

E’ questa la fotografia dell’Istat sull’avvio d’anno, che sembra partire in recupero. Nel dettaglio, il reddito disponibile, in valori correnti, ovvero con dentro la dinamica dei prezzi, è salito dello 0,4% rispetto agli ultimi tre mesi del 2014 e dello 0,6% nel confronto annuo. Visto che il periodo sotto la lente dell’Istat è trascorso tutto in deflazione, il potere d’acquisto delle famiglie non ha fatto altro che beneficiarne, salendo dello 0,6% sul trimestre precedente e dello 0,8% a paragone con l’anno prima, come, appunto, non accadeva dal lontano 2007.

I ‘saldi’ dovuti alla bassa pressione dei prezzi non hanno però incoraggiato i consumi delle famiglie, che hanno preferito ricominciare a ristorare e ricostruire da zero, laddove possibile, i loro ‘tesoretti’. La propensione al risparmio, ovvero la quota di risparmio sul reddito disponibile, è risalita al 9,2%, il valore più alto dall’estate di due anni fa, anche se ancora sotto i livelli pre-crisi, quando le famiglie, non a caso si parlava dei ‘italiani-formiche’, vantavano tassi a doppia cifra. Ora si ricerca di tornare sui vecchi binari e da qui il contenimento della spesa (-0,2% e +0,1% su base annua). Tuttavia le associazioni dei consumatori non ci stanno e bollano la risalita del potere d’acquisto come “un’illusione ottica”.

Passando dalle famiglie allo Stato, l’Istat segna ancora miglioramenti, soprattutto in termini di deficit, sceso tra gennaio e marzo al 5,6% del Pil. A prima vista potrebbe sembrare una percentuale poco rassicurante, ben oltre il 3% stabilito in sede europea, ma in realtà nei primi tre mesi dell’anno il rapporto è sempre più alto, per poi scendere nel resto dell’anno.

Infatti erano ben otto anni che non si vedeva un valore sotto il 6% (basti pensare che nel 2009 per qualche decimo non toccò il 10%). Il calo dell’indebitamento è, ovviamente, dovuto a una crescita delle entrate a fronte di una diminuzione delle uscite, che hanno beneficiato della caduta della spesa per gli interessi passivi sul debito. La voce è costata il 14% in meno dell’anno prima, con quasi 2,4 miliardi di euro rimasti nella casse pubbliche. Un toccasana per i conti che risente dell’abbassamento degli spread.

Vale la pena ricordare che proprio a inizio anno il presidente della Bce, Mario Draghi, ha annunciato il Quantitative Easing. Una proclamazione che ha avuto effetti immediati sui mercati. L’Istituto di statistica, ormai già da qualche tempo, misura anche il polso della pressione fiscale trimestre per trimestre: nel primo, come al solito, il ‘peso delle tasse’ è più contenuto che nelle rimanenti parti dell’anno. Adesso il tasso è risultato pari al 38,7%, lo stesso del 2014.

L’Istat punta la lente anche sulle aziende, con la quota di profitto che resta vicina ai minimi mentre arrivano segnali di risveglio sul lato degli investimenti. Vede rosa anche Bankitalia che, sempre in avvio di 2015, parla di un tamponamento nell’emorragia di posti di lavoro, almeno nell’industria.

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