Sempre più lavoratori poveri, a rischio uno su sei

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ROMA. – I lavoratori poveri, che non riescono a mantenersi con il loro salario, sono sempre di più nell’eurozona. In Italia un occupato su sei è a rischio povertà o esclusione sociale, secondo un’elaborazione del Financial Times su dati Eurostat. Il Paese è, insieme alla Germania, quello che ha visto il maggiore peggioramento della situazione tra il 2005 e il 2014. Ha superato così la Spagna e il Portogallo ed è secondo solo alla Grecia per lavoratori a rischio povertà nell’eurozona.

Il tema dei ‘working poor’ è caldo anche negli Stati Uniti, dove il presidente Barack Obama sta facendo pressioni sul Congresso per aumentare il salario minimo. ”Restano delle debolezze” nel mercato del lavoro a causa della crisi finanziaria e ”c’è ancora da fare”, affermano dalla Casa Bianca, nonostante i 5,7 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi due anni e il tasso di disoccupazione al 5,3%.

L’espandersi della povertà anche tra i lavoratori e l’esplosione delle disuguaglianze a seguito della crisi, del resto, non è solo un problema sociale ma, secondo uno studio del Fondo monetario internazionale, è anche un ostacolo alla crescita economica. L’articolo ‘Causes and consequences of income inequality’ (‘Cause e conseguenze dell’iniquità del reddito’) dimostra infatti che un aumento del reddito del 20% più povero della popolazione è associato a una maggiore crescita del Pil. Al contrario, un aumento della concentrazione del reddito nel 20% più ricco della popolazione porta a un declino del prodotto interno nel medio periodo.

La ricerca del Fondo indaga anche sulle cause dell’aumento delle disuguaglianze e punta il dito sull’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro. “Una maggiore flessibilità può rappresentare una minaccia per i lavoratori, soprattutto quelli meno qualificati”, si legge nel testo, che rappresenta una svolta rispetto alle politiche liberiste promosse dal Fondo monetario nei paesi in crisi.

Il declino di alcune istituzioni del mercato del lavoro, come il salario minimo o la sindacalizzazione, sarebbe il secondo fattore all’origine dell’aumento delle disuguaglianze dopo il progresso tecnologico, che sembra avvantaggiare i lavoratori più qualificati e penalizzare gli altri. Verrebbe addirittura prima della globalizzazione che, con la concorrenza dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo, giocherebbe un ruolo minore.

(di Chiara Munafò/ANSA)

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