Venezuela: Polizia Bolivariana, esecuzioni sommarie con spietata freddezza

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Orrore, sgomento. E’ stata una vera e propria esecuzione eseguita con indescrivibile freddezza. Forse nessuno ne avrebbe parlato se non fosse stato per il video postato nei social network; un video che ha fatto il giro del mondo. Mostra un Paese che vorremmo non ci appartenesse, ma della cui esistenza siamo coscienti. Le immagini dell’uomo freddato a colpi di pistola da un tutore dell’Ordine mentre altri lo tengono fermo sono un pugno allo stomaco. Fanno male. Scuotono la nostra sensibilità, ma non ci sono estranee. Mostrano l’esistenza, nelle file della Polizia Nazionale Bolivariana, di criminali senza pietà che rendono vana la missione di chi, all’interno delle forze dell’Ordine, crede realmente nel proprio lavoro e lo assume come un apostolato. Oggi c’è da chiedersi: quanti delitti efferati deve compiere un individuo perché diventi tanto spietato da togliere la vita a un giovane con tale freddezza?

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. I vecchi proverbi popolari, purtroppo, hanno spesso ragione. Le autorità hanno promesso la depurazione della Polizia Bolivariana. Un’affermazione che lascia perplessi poiché essa è nata solo dieci anni fa, nel 2006, in sostituzione della “Polizia Metropolitana”, accusata di essere fonte di corruzione e di crimini orrendi. Sorprende che la Commissione presieduta da Freddy Bernal, con il compito di riformare i corpi di polizia del Paese, non abbia percepito l’enorme degrado esistente in seno alla Polizia Nazionale Bolivariana.

Non è un caso, quindi, che Caracas sia considerata la seconda città più pericolosa dell’America Latina. Con i suoi 115,9 morti ogni 100mila abitanti occupa il secondo gradino nella classifica stilata dall’Ong messicana “Consejo Ciudadano para la Seguridad Pùblica y Justicia”. Davanti a Caracas solo San Pedro Sula, cittadina dell’Honduras. E non deve meravigliare se, mentre su suggerimento dell’ambasciatore Paolo Serpi, che ha concluso recentemente la missione in Venezuela, l’Unità di Crisi del ministero degli Esteri ha richiamato in sede il nostro esperto anti-sequestro, altri Paesi – leggasi Stati Uniti, Inghilterra, Canada, Francia e Spagna, solo per citarne alcuni – rafforzano le misure di sicurezza ed esortano costantemente i propri cittadini residenti nel Paese alla massima prudenza, a non circolare in orari notturni, a evitare di transitare per quartieri considerati estremamente pericolosi e, nel caso dei propri funzionari, a non recarsi nelle città di frontiera. I numerosi tentativi di sequestro, l’ingresso violento di un individuo nella delegazione diplomatica del Kuwait, il furto in quella della Grecia e l’assassinio dell’avvocato americano John Pate sono solo la punta dell’iceberg.

Neanche devono sorprendere più di tanto le denunce di Provea, l’Ong che si dedica alla difesa dei diritti umani, diventate ormai consuetudine. Il dito nella piaga. Provea, fin dall’inizio delle operazioni battezzate Olp (Operaciòn para la liberaciòn del Pueblo), ha segnalato le costanti violazioni dei Diritti Umani da parte delle forze dell’Ordine. Dall’indomani dei fattacci avvenuti nella Cota 905, Provea non ha mai smesso di denunciare i gravi abusi della polizia; abusi che, stando a quanto affermato dall’Ong, si ripetono puntualmente a ogni Olp. La preoccupazione di Provea, nel rilevare l’inconsistenza degli sforzi nel costruire un “nuovo modello di polizia”, è che la repressione e gli abusi diventino, come in passato, una pratica quotidiana. Nel 2014, Provea ha denunciato, documentandole, 184 esecuzioni sommarie a mano di agenti della polizia. E ora segnala che quest’anno il numero potrebbe essere anche superiore.

E’ un paradosso. Mentre il caso dell’efferato crimine di San Vicente nello Stato Aragua scuote la coscienza dei venezuelani e cresce il numero dei linciaggi di delinquenti presi “in flagrante” dagli abitanti dei sobborghi, le ricerche delle agenzie demoscopiche rivelano che l’insicurezza non è più, come lo era nel 2014, la principale fonte di preoccupazione. Ormai per i venezuelani il grosso dolore di testa è la mancanza di alimenti e medicine; carenza che obbliga a lunghe file, a volte dai risultati frustranti, sotto i raggi inclementi del rovente sole tropicale.

Secondo Datanàlisis, nell’ultimo sondaggio, il 24,6 per cento dei venezuelani ritiene che la mancanza cronica degli alimenti sia la maggior fonte di preoccupazione. La seconda è l’alto costo della vita. Le autorità non hanno ancora reso noto l’indice dell’inflazione ma la percezione è che esso stia crescendo in maniera esponenziale. E infatti, il 20,7 per cento dei venezuelani ritiene che l’incremento costante e accelerato dei prezzi dei prodotti del carrello erode il potere d’acquisto. Alcuni economisti sostengono che il Venezuela sia alla soglia dell’iperinflazione; altri, invece, che si è entrati ormai nel vivo della spirale iperinflazionaria: i prezzi cambiano ogni settimana rendendo sempre più difficile l’acquisto dei principali beni di consumo. Impossibile oggi comprare elettrodomestici o automobili. Non parliamo poi di un modesto appartamento.

La mancanza di generi alimentari, l’alto costo della vita e l’insicurezza pesano come un macigno sulla popolarità del presidente della Repubblica, Nicolàs Maduro. Questi, come spiegano sociologi e attenti analisti dei fenomeni politici, non ha il carisma dell’estinto presidente Chàvez e neanche la capacità che questi aveva di trasferire ogni responsabilità ad altri. La sua popolarità, scesa al di sotto del 25 per cento, è ai minimi storici mentre cresce quella di esponenti dell’opposizione. E’ il caso del leader di Voluntad Popular Leopoldo Lòpez il cui grado di consenso è ormai a oltre il 40 per cento.

La prossimità delle elezioni parlamentari rende assai difficile l’applicazione dei provvedimenti necessari a correggere gli squilibri economici. Sono decisioni impopolari che avrebbero un contraccolpo negativo in termini di voti. E’ per questo che l’economista Luis Oliveros ha recentemente affermato che i prossimi quattro mesi saranno tra i più difficili per il Paese. Per Oliveros, la cui opinione è condivisa dalla maggior parte degli analisti politici ed economici, “il governo ha sospeso la vita dei venezuelani a breve e medio termine e ciò avrà un costo sociale…” Stando all’economista quella del governo è la peggiore decisione. Avrà conseguenze profonde in un futuro prossimo.

Nell’ambito economico preoccupano oggi le ripercussioni della svalutazione dello yuan in America Latina e in Venezuela. I recenti avvenimenti che hanno scosso l’economia cinese – leggasi svalutazione della moneta quasi in un 5 per cento – avrà un doppio effetto in questa parte del mondo. Il colosso asiatico, oggi, è il socio più importante di Argentina, Brasile, Cile e Venezuela. In altri paesi la sua presenza è in crescita.

L’impatto della svalutazione si trasmette in America Latina attraverso il mondo delle finanze e dell’economia reale. Nel primo caso, l’effetto è immediato. Fatta eccezione dei paesi in cui, come in Venezuela, la Borsa è quasi inesistente e comunque non ha alcun peso sull’economia; nel resto del continente è avvenuto un aggiustamento verso il basso: perdite e ritiro d’investitori che preferiscono strumenti più sicuri come lo sono, ad esempio, il dollaro o l’oro. L’incremento della richiesta di valuta americana ha indebolito le monete nazionali che, comunque, non hanno subito svalutazioni superiori a quella dello yuan. Quindi si è alla presenza di una perdita di competitività.

Inversamente proporzionale. Nel caso dell’economia reale, nella misura in cui la svalutazione dello yuan rende le esportazioni cinesi più competitive; nella stessa misura rende quelle latinoamericane meno concorrenziali. Si prevede quindi una caduta nei volumi di importazione della Cina. Si assisterà, in conseguenza, a un deterioramento della bilancia commerciale dell’America Latina con la Cina; deterioramento che avrà riflessi negativi sul Pil. Comunque, a medio e lungo termine, se alla svalutazione della moneta farà seguito la ripresa dell’economia asiatica, il volume delle esportazioni latinoamericane dovrebbe tornare a crescere. Ma l’America Latina, per effetto della svalutazione, riceverà meno dollari per i propri prodotti.

Più articolato il caso del Venezuela, la cui dipendenza dalla Cina è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni. Gli effetti della svalutazione potrebbero essere di vario tipo. Le importazioni dalla Cina, che è il secondo socio commerciale dopo gli Stati Uniti, saranno molto più economiche. E ciò per il Venezuela, che oggi importa quasi tutto, potrebbe rappresentare un grosso vantaggio in termini di risparmio. Ma il Venezuela dipende in un 95 per cento dalle esportazioni del greggio. E alla Cina è destinato quasi il 15 per cento della produzione. Questo volume potrebbe ridursi nell’immediato a causa della recessione dell’economia asiatica. Alla riduzione dei prezzi del greggio, oggi il barile di petrolio costa poco più di 40 dollari, si dovrà sommare una riduzione nel volume delle importazioni cinese. E ciò, nell’immediato, rappresenta un altro grosso dolore di testa per un paese in profonda recessione, alla soglia dell’iperinflazione e con un’infrastruttura produttiva obsoleta e in gran parte atrofizzata.

(Mauro Bafile/Voce)

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