Ecco il piano del Governo: prima la casa, poi le imprese e infine i redditi bassi

Italian Finance Minister Pier Carlo Padoan checks his watch prior to the start of a press conference at the Foreign Press club, in Rome, Tuesday, Aug. 4, 2015. (ANSA/AP Photo/Gregorio Borgia)
Italian Finance Minister Pier Carlo Padoan checks his watch prior to the start of a press conference at the Foreign Press club, in Rome, Tuesday, Aug. 4, 2015. (ANSA/AP Photo/Gregorio Borgia)
Italian Finance Minister Pier Carlo Padoan checks his watch prior to the start of a press conference at the Foreign Press club, in Rome, Tuesday, Aug. 4, 2015. (ANSA/AP Photo/Gregorio Borgia)

RIMINI. – Non singole misure per ridurre le tasse ma “una sequenza”, una serie di interventi da “vedere nel loro insieme, per la cifra complessiva, nell’arco di tempo 2014-2018”. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan arriva al Meeting di Rimini il giorno dopo il premier, e conferma così l’impegno del Governo Renzi sul fronte del fisco. Così come conferma che con la manovra 2016 è il momento del “sostegno alle imprese e alle famiglie intervenendo sulle tasse sulla casa”. La nuova tappa di un percorso che era partito dal bonus degli 80 euro per “una ragione di equità sociale”, che è poi passato per la spinta alla crescita dell’occupazione ed alla competitività delle imprese con gli incentivi alle assunzioni e i tagli Irap, e che il Governo intende poi portare ancora ancora con misure per sostenere “le imprese ed i redditi più bassi”.

Intanto resta sul tavolo della manovra anche il possibile rinnovo degli sgravi per le assunzioni, come conferma – anche lui da Rimini – il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Avanti con la riduzione delle tasse. E’ determinato ma cauto Padoan: avverte ancora che le sforbiciate al fisco devono andare di “pari passo con la riduzione della spesa”, e che va fatto in modo “credibile, e permanente, per avere un impatto più efficace ed una finanza pubblica più sostenibile”, per evitare due spettri: una crisi di fiducia dei mercati che si tradurrebbe nell’onere di tassi più alti sul debito e una stretta sui margini di flessibilità che con le riforme l’Italia ha conquistato in Europa.

Va ricostruita la fiducia: Padoan ripete più volte che le mosse del Governo sono “pilastri” diversi, e di pari importanza, di una linea d’azione complessiva: dalla “grande agenda di riforme strutturali: jobs act, giustizia civile, pubblica amministrazione, scuola”; alla finanza pubblica con “l’enorme onere del debito che richiede una enorme entità di risorse per ridurlo e pagarne gli interessi”, quindi gli investimenti pubblici, a partire dalle infrastrutture, e la spesa da ridurre.

Padoan accenna anche all’allarme Mezzogiorno: non servono “politiche diverse” e avverte che vanno invece adattate alla situazione di specifiche aree del Sud tutte le politiche messe in campo dal Governo. C’è una ipotesi di incentivi fiscali dedicati al meridione, annuncia il ministro, ma è attento nell’avvertire che i margini sono strettissimi tra il vincolo delle poche risorse disponibili ed il rischio di inciampare nel divieto di aiuti di Stato.

Nessun allarme sui conti pubblici per il rallentamento della crescita in Europa: “Le recenti cifre di crescita per l’Italia confermano il quadro del Def”, rassicura Padoan. La crescita, dice alla platea del Meeting di Rimini che lo accoglie con più applausi, “dal punto di un Governo è la cosa più complicata da sostenere, soprattutto oggi: non siamo soddisfatti, il famoso dibattito sullo ‘zero virgola’ non ci lascia soddisfatti”, ammette. A pesare sono anche vecchie “ferite che devono essere ancora rimarginate”, non solo quelle degli ultimi anni, “della più profonda recessione dal dopoguerra”. E’ da “venti anni che non si sono affrontati ostacoli strutturali alla crescita”.

Capitolo Cina: c’è l’instabilità finanziaria di una bolla speculativa, ma il vero allarme sarà se il rallentamento della crescita sarà peggio di quanto previsto. In ogni caso – avverte il ministro – è “un segnale per l’Europa, una lezione che l’Europa non può permettersi di ignorare. L’Europa deve sì poter contare sulla crescita dei grandi Paesi emergenti ma deve soprattutto contrare su stessa”, deve “crescere di più e creare più lavoro”.

(dell’inviato Paolo Rubino/ANSA)

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