Riforma della Costituzione, il Pd resta diviso

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ROMA. – Alla vigilia della riapertura della Aule parlamentari il Pd resta diviso. Il primo terreno di confronto sarà ancora una volta la riforma della Costituzione, in calendario al Senato a partire dall’8 settembre: non approvarle – è l’accusa dei renziani – sarebbe una prova di ‘tafazzismo’, ma i senatori dissidenti non sembrano pronti ad allinearsi, convinti tra l’altro che la minaccia del voto anticipato sia “un’arma scarica”. Polemica che si intreccia con quella innescata da un leader storico del centrosinistra come Massimo D’Alema, che ha accusato Matteo Renzi di aver perso nel giro di un anno due milioni di elettori. Attribuire alla segreteria Renzi – è però la difesa del vicesegretario Pd Lorenzo Guerini – una perdita di consensi è un errore perché i dati sono “artefatti” e le elezioni amministrative ed Europee hanno “un risvolto politico diverso”, aggiunge Nicola Latorre. La prima nuova conta rischia comunque di essere a Palazzo Madama.

Il governo non appare disposto ad aprire alle richieste della minoranza, che vorrebbe modificare l’articolo 2 del disegno di legge ed introdurre l’elezione diretta per i senatori. Il vicesegretario Dem Guerini ribadisce infatti la disponibilità ad un confronto ma allo stesso tempo un fermo no a riaprire questo capitolo, convinto che sarebbe “un messaggio profondamente sbagliato”. Ma il passaggio sulla riforma costituzionale sarà “decisivo”, dice uno dei senatori di minoranza come Vannino Chiti, non solo nel merito ma anche perché “si vedrà se il pluralismo sia considerato un tratto fondativo del Pd o una copertura utile in qualche occasione”.

D’altro canto, ragiona un altro senatore di minoranza come Miguel Gotor, “i segretari passano, il progetto resta. E il nostro obiettivo è costruire un soggetto politico europeo dove possa accadere che su snodi cruciali i parlamentari votino contro il proprio Governo senza che questo debba necessariamente aprire le porte a una scissione con relativa scomunica”. Ragionamento che viene utilizzato a propria volta dai renziani, convinti anche loro che il “Pd non debba scegliere tra obbedienza al governo Renzi o scissione e che tra la ditta ed il caos c’è una via di mezzo: il rispetto – sottolinea il senatore Andrea Marcucci – del principio di maggioranza”. Dunque, prosegue il presidente della commissione Istruzione di Palazzo Madama, dal momento che “la riforma del Senato è un obiettivo storico del centrosinistra, azzerarla ad un passo dell’approvazione sarebbe un capolavoro da Tafazzi”.

Basta, è però la controreplica, con “gli insulti. La maggioranza del PD – afferma il senatore dissidente Federico Fornaro – usi il poco tempo cha abbiamo per ricercare una sintesi possibile”. Contrapposizioni, che anche secondo l’ex premier Romano Prodi (che si dice convinto che Renzi nel voler attribuire al confronto tra berlusconismo e antiberlusconismo le colpe dello stallo del Paese si sia sbagliato), non aiutano certo “a fare una riforma seria”. A cercare di spegnere gli incendi estivi interni ai Dem ci prova – dopo la raffica di accuse e controaccuse – il sottosegretario alla presidenza, Claudio De Vincenti, che punta tutto sulla diplomazia: “è un fatto di grande responsabilità nazionale portare fino in fondo questo percorso di riforme avviato”, dice dalla Festa dell’Unità di Milano e, aggiunge, “la maggioranza su questo sarà sicuramente capace di andare fino in fondo”.

(di Chiara Scalise/ANSA)

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