Riforma ad un passo, il Governo approva il taglio delle regioni

L'Aula del Senato durante le votazioni degli emendamenti alla Riforma Costituzionale, Roma, 6 ottobre 2015. ANSA/GIUSEPPE LAMI
L'Aula del Senato durante le votazioni degli emendamenti alla Riforma Costituzionale, Roma, 6 ottobre 2015. ANSA/GIUSEPPE LAMI
L’Aula del Senato durante le votazioni degli emendamenti alla Riforma Costituzionale, Roma, 6 ottobre 2015. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – La riforma del Senato è ad un passo dall’approvazione da parte di Palazzo Madama. Oggi gli ultimi sì agli articoli rimanenti. E martedì il voto finale sul complesso del provvedimento. Ieri è stato dato il via libera agli articoli delle riforme che introducono il nuovo federalismo, tra l’altro aumentando le materie su cui sarà possibile la devoluzione delle competenze dallo Stato alle Regioni.

Ma il colpo di scena è arrivato dall’accoglimento da parte del governo di un ordine del giorno di Raffaele Ranucci (Pd) che impegna l’esecutivo a presentare a breve una riforma che tagli il numero delle Regioni. La presentazione di un emendamento dell’esecutivo sulla discussa norma transitoria certifica l’intesa interna al Pd, mentre l’opposizione si divide e dentro forza Italia si registra una spaccatura verticale.

Il Senato ha approvato l’articolo del ddl Boschi che riscrive l’articolo 117 della Costituzione, cioè l’assetto federale. Il nuovo testo abroga le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, e riporta in capo allo Stato alcune materie, tra cui la tutela dell’ambiente e dei beni culturali, l’energia, le infrastrutture strategiche, la protezione civile.

In più nel nuovo articolo 117 c’è la cosiddetta clausola di salvaguardia dell’unità nazionale: lo Stato potrà riprendersi alcune competenze “quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica o lo rende necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale”.

A compensare la centralizzazione di alcune competenze, c’è però l’approvazione di un emendamento di Francesco Russo (Pd), fatto proprio e riformulato dal governo, che amplia le materie che potranno essere devolute dallo Stato alle Regioni, purché esse abbiano i conti a posto.

Potranno essere devolute l’organizzazione della giustizia di pace, l’istruzione, le politiche attive del lavoro e la formazione professionale, la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, e il governo del territorio. L’emendamento di Russo aggiunge a tali materie le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali” e il commercio con l’estero.

Ma ad animare il dibattito ci ha pensato un ordine del giorno di Raffaele Ranucci che impegnava il governo a presentare una riforma che riduca il numero delle regioni, prima che entri in vigore il ddl Boschi. In pratica da qui ad ottobre 2016. L’accettazione da parte del governo, con il sottosegretario Luciano Pizzetti, non ha nemmeno reso necessario il voto, ma si è comunque sviluppato un dibattito in cui ha prevalso la sorpresa per il colpo di scena.

M5s ha attaccato con Giovannni Endrizzi e Paola Taverna, ma anche nel Pd Walter Tocci, da sempre sostenitore del taglio del numero delle regioni, ha definito l’ordine del giorno “un modo surrettizio di affrontare il tema”. Contrari pure tre senatori Dem, i friulani Ludovico Sonego e Carlo Pegorer e il molisano Roberto Ruta. Luciano Uras, di Sel, ha addirittura affermato che “con la nascita di macroregioni si faranno più forti le spinte scissioniste. L’Italia finirà come Urss”.

In serata il ministro Maria Elena Boschi ha presentato un emendamento sull’articolo 39 del ddl che contiene la norma transitoria, finora oggetto del contendere con la minoranza Dem. Se dunque nella maggioranza è pace fatta, cosa che rende il percorso delle riforme in discesa, le opposizioni sono spaccate.

Lega e Fi sono ai ferri corti per il voto mercoledì degli azzurri su un emendamento assieme alla maggioranza. Ma anche dentro Fi è maretta: da una parte c’è chi (come Augusto Minzolini) propone l’Aventino, chi propone il “no” alle riforme ma rimanendo in Aula, e addirittura chi, come Riccardo Villari incita al sì. Il tutto mentre circolano raccolte di firme per azzerare i vertici dei gruppi parlamentari di Senato e Camera.

(Giovanni Innamorati/Ansa)

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