Bce insegue inflazione, echi guerra valute con Usa e Cina

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ROMA. – C’è un passaggio, nella conferenza stampa della Bce dell’altro giorno, in cui il vice di Mario Draghi, il portoghese Vitor Constancio, ha fatto balenare l’esempio della Banca nazionale svizzera, pronta a mandare i suoi tassi ancora più sottozero per contrastare l’apprezzamento del franco.

Piccole frecciatine fra banchieri, che però raccontano il clima che domina nei negoziati globali: le banche centrali sono ormai disperatamente a caccia d’inflazione, sempre sospese fra la necessità di collaborare nei forum del G20 o di Basilea, e l’antagonismo a colpi di svalutazioni che riecheggia la mai veramente sopita ‘guerra delle valute’.

La Bce non si tirerà indietro e l’euro piomba sotto 1,10 dollari per la prima votla da agosto. Draghi ha praticamente annunciato che l’Eurotower a dicembre rafforzerà il quantitative easing e sta pensando di tagliare il tasso sui depositi anche sotto l’attuale -0,20%, definito un anno fa la soglia minima: una misura, quest’ultima, che amplierebbe il ventaglio di debito pubblico che la Bce può comprare, ma soprattutto svaluterebbe con decisione l’euro.

Le nuove stime degli economisti, pubblicate ieri ma già da giorni sul tavolo dei governatori, disegnano una ripresa anemica e fanno sfumare l’obiettivo di un’inflazione che si avvicina all’obiettivo del 2% nel medio termine, con il 2017 che si ferma ad appena 1,5%.

E’ con Washington la partita principale di Draghi. Per sostenere l’export europeo e far risalire i prezzi in un contesto di pressioni deflazionistiche globali, il banchiere italiano deve riportare l’euro stabilmente verso la parità sul dollaro.

Ci riuscirà se la Fed, a dicembre, si deciderà ad alzare i tassi per la prima volta dal 2006. Ma la Fed si riunisce due settimane dopo il consiglio della Bce del 3 dicembre e Janet Yellen potrebbe decidere di aspettare ancora, sparigliando le carte.

E’ forse per questo, si sussurra fra gli operatori delle valute, che Draghi ha tirato fuori una sorta di ‘carta di riserva’, quel taglio del tasso sui depositi che potrebbe materializzarsi se i mercati, nelle prossime settimane, non inizieranno a mettere in conto un rialzo della Fed.

La Cina non sta a guardare. A meno di 24 ore dalle parole di Draghi, ha tagliato nuovamente i tassi, di un quarto di punto. Per evitare un atterraggio disastroso della sua economia, il Dragone cinese prepara nuovi tagli ed è sempre presente nella partita a scacchi planetaria dei cambi: starà pure riorientando il suo modello economico verso i consumi come chiedono Washington e il Fmi (che ringrazia preparando l’ingresso dello yuan nel club prestigioso delle sue valute di riserva), ma certo non rinuncia a sostenere il suo export.

Fra questi giganti globali, Paesi come Svezia, Danimarca corrono ai ripari per stare agganciati all’euro. E la Svizzera ricorda che può tagliare ancora, dopo aver accumulato qualcosa come 566 miliardi di dollari in valuta estera per tenere a freno il franco raggiungendo un’espansione monetaria giapponese.

“Per difendere il cambio hanno un bilancio più grande del nostro rispetto al Pil”, ha osservato Constancio con una punta di critica. Ma forse era l’avvertimento che, nell’era della deflazione globale e dei tassi negativi, la Bce ha ancora molte frecce al suo arco.

(di Domenico Conti/Ansa)

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