Usa 2016: al voto un Paese apatico, stufo di Washington

Democratic presidential arrives at town hall meeting at White Mountain Community College, Thursday, Oct. 29, 2015, in Berlin, N.H. (ANSA/AP Photo/Robert F. Bukaty)
Democratic presidential arrives at town hall meeting at White Mountain Community College, Thursday, Oct. 29, 2015, in Berlin, N.H. (ANSA/AP Photo/Robert F. Bukaty)
Democratic presidential arrives at town hall meeting at White Mountain Community College, Thursday, Oct. 29, 2015, in Berlin, N.H. (ANSA/AP Photo/Robert F. Bukaty)

NEW YORK. – Un paese apatico, diviso e in crisi di identità arriva all’appuntamento con un anno dal voto per la Casa Bianca. L’America si guarda allo specchio e non sa più chi è. Sa solo che della politica di Washington è stufa. Ma a differenza di passati cicli elettorali, non ha neppure troppa voglia di voltare pagina.

La prima elezione “aperta” in otto anni, quella dell’8 novembre 2016, non suscita l’entusiasmo e il furore che portò allo scontro tra Hillary Clinton e Barack Obama e poi alla corsa finale, trionfale e ispirata, all’insegna dello slogan “Yes We Can”: tutto era possibile allora per l’America, che il 4 novembre 2008 elesse il suo primo presidente nero.

Era, in quell’autunno di sette anni fa, un’America che aveva toccato il fondo e voleva a tutti costi sperare in meglio: l’economia in ginocchio con la peggior crisi dai tempi dalla Grande Depressione, il tasso di disoccupazione a due cifre e la bolla dei mutui scoppiata, che rubava all’americano comune, tutti i ‘Mr.Smith’, il sogno della “single family home”. E poi i postumi delle due guerre, con tanti soldati ancora in Afghanistan e Iraq.

Eppure il clima, l’ottimismo di allora, era agli antipodi di oggi, con i conti del Paese finalmente andati a posto. L’America a un anno dal voto è anche più ideologica che in passato.

Nel panorama politico che cambia, oltre alla razza, le classi sociali e la geografia, giocano un ruolo i cambiamenti generazionali. Boomers e Millennials, padri e figli, hanno in teoria in tasca le chiavi del voto.

I primi, bianchi al 70 per cento contro il 58 per cento della generazione successiva, con il passare degli anni si sono spostati a destra: hanno visto il reddito salire, a differenza dei figli che stanno peggio dei padri e dei nonni.

Pur essendo i Millennials più numerosi, i 75 milioni di Boomers sono un segmento di elettorato più affidabile: oltre il 70% degli ultrasessantacinquenni va a votare, contro il 40% degli under 25. Questa potrebbe essere la ragione di una campagna elettorale dominata da senior come Donald Trump (69 anni), Hillary (68) e Bernie Sanders (74).

Pur essendo stati hippie da giovani, negli ultimi 30 anni i Boomers sono diventati conservatori. E’ dai tempi del ‘Bill Clinton 2’ che votano repubblicano. Nel 2011 il 42% di loro si definiva di destra, oltre il doppio dei coetanei che si autodefinivano progressisti.

I loro figli sono invece un blocco solidamente democratico: largamente favorevoli alle nozze gay e pro-immigrazione, inconsciamente anticapitalisti e preoccupati dai debiti del dopo college, sono lo zoccolo duro che tiene in piedi la candidatura del senatore socialista del Vermont, Sanders.

Ma sul voto da qui a un anno aleggia l’incognita della generazione “X”, i cinquantenni/quarantenni figli dell’ultima generazione dei tempi della seconda guerra mondiale. Più pragmatici dei Boomers, potenzialmente repubblicani, potrebbero spostarsi sul fronte democratico se il Gop dovesse abbracciare un candidato clownesco come Trump.

(di Alessandra Baldini/ANSA)

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