Applicazioni come spie, dati condivisi senza permesso

Applicazioni sul display di un Iphone, Napoli, 3 marzo 2012. "Un miliardo di grazie 25 volte ancora". Con questo messaggio l'App Store, il negozio online della Apple ha annunciato il raggiungimento dei 25 miliardi di applicazioni scaricate. ANSA/CESARE ABBATE
Applicazioni sul display di un Iphone, Napoli, 3  marzo 2012. "Un miliardo di grazie 25 volte ancora". Con questo messaggio l'App Store, il negozio online della Apple ha annunciato il raggiungimento dei 25 miliardi di applicazioni scaricate.  ANSA/CESARE ABBATE
Applicazioni sul display di un Iphone, Napoli, 3 marzo 2012. “Un miliardo di grazie 25 volte ancora”. Con questo messaggio l’App Store, il negozio online della Apple ha annunciato il raggiungimento dei 25 miliardi di applicazioni scaricate. ANSA/CESARE ABBATE

ROMA. – Le applicazioni per i dispositivi Apple e Android sono come “spie”: condividono con altre piattaforme – come Google, Apple e Facebook – una grande quantità di informazioni personali degli utenti e non sempre richiedendone esplicito permesso.

Lo afferma una ricerca del Mit e degli atenei di Harward e Carnegie-Mellon condotta su 110 applicazioni disponibili su Google Play e App Store.

Dallo studio è emerso che le applicazioni per Android di Google sono più inclini di quelle per la piattaforma iOS di Apple a condividere informazioni personali come il nome e l’indirizzo di posta elettronica (73% delle app Android contro il 16% di iOS).

Il rapporto si inverte sui dati di localizzazione, condivisi più dalle app iOS (47%) rispetto a quelle Android (33%).

Quanto a informazioni sensibili, come quelle mediche, i ricercatori hanno rilevato che 3 applicazioni di salute e fitness su 30 analizzate condividono con terzi ciò che gli utenti cercano online e i dati immessi nelle app. Tra i domini che ricevono il grosso dei dati condivisi dalla maggior parte delle app al primo posto c’è Google, seguito da Apple e Facebook.

Interpellata dalla Bbc, l’associazione Privacy International afferma che in questo modo i nostri dispositivi “ci tradiscono”.

Questa ricerca è in linea con un altro recente studio, dell’Università della Pennsylvania, secondo il quale a condividere informazioni personali degli utenti a vantaggio di terze parti, senza che i consumatori ne siano consapevoli, sono ben 9 siti web su 10.

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