Italia e America latina, un nuovo approccio

Cile, Colombia, Cuba, Brasile, Vietnam, Indonesia. Mentre il premier, Matteo Renzi, e il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, rilanciano la presenza italiana in questa parte del continente americano; il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, apre la via dell’Asia.
La crisi economica sembra ormai alle spalle. I numeri rivelano un’Italia ancora in affanno. E’ vero. Ma il Pil, seppur con una certa difficoltà, pare abbia ricominciato a crescere; la disoccupazione a scendere e la fiducia, anche se con titubanza, a fare capolino. Anche il Mezzogiorno, termometro dello stato di salute del Belpaese, manifesta sintomi di dinamismo economico. Insomma, come ha espresso recentemente il capo dello Stato, sembra sia arrivato il momento di tornare in campo all’estero.
La scelta dei paesi presi in considerazione per le missioni del premier, del ministro degli Esteri e del presidente della Repubblica non è frutto del caso. Sono nazioni emergenti alle quali l’Italia può offrire esperienza e tecnologia. Insomma, il “Made in Italy”. Il Belpaese scommette su continenti dalle enormi potenzialità e in nazioni che oggi si aprono agli investimenti stranieri coscienti che questi non sono né il “lupo feroce” né il “nemico da abbattere” ma strumenti per crescere; su paesi che hanno avuto il coraggio di dare un colpo di timone e di prendere decisioni storiche.
Il viaggio del presidente Mattarella in Vietnam e in Indonesia rappresenta lo sforzo per tracciare la rotta verso l’Asia. Il Vietnam, pur con un’architettura politica centralista, si è trasformato in un’economia dinamica e in crescita costante; un’economia in cui l’industria guadagna sempre più terreno sull’agricoltura. L’Europa vi guarda oramai come a un miraggio. E ragioni non mancano. Non si tratta solamente di un paese dall’economia in crescita. Hanoi, nel giro di pochissimi anni, grazie agli accordi di libero scambio con Italia, Asean, Unione Europea e Stati Uniti, potrebbe trasformarsi nel crocevia di merci e di risorse; in una piattaforma produttiva e distributiva nel mercato asiatico globale. L’obiettivo italiano, tracciato per il momento, è quello di portare l’interscambio dai 4 miliardi del 2014 a 6 miliardi nel 2016.
Stesso discorso per la tappa in Indonesia, dove il capo dello Stato ha cercato di fissare i tasselli per uno sviluppo articolato delle relazioni economiche e di incardinare un dialogo che possa condurre alla crescita dell’export del “Made in Italy”.
Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, si è recato nei giorni scorsi in Brasile, paese in cui la presenza delle aziende italiane è sempre stata tradizionalmente importante. L’occasione è stata propizia per sottolineare che l’Italia ha ormai intrapreso il cammino delle riforme; un cammino lungo, difficile e impegnativo. Ma non solo, soprattutto, per ribadire la fiducia del Paese nel colosso sudamericano, nonostante la crisi istituzionale ed economica che lo affligge. Il Brasile, forte di un’industria moderna e all’avanguardia, rappresenta pur sempre un mercato di oltre 200 milioni di consumatori.
Nuovo e inatteso. Assai più rilevante il viaggio del presidente del Consiglio in Cile, in Colombia, in Messico e a Cuba. Rappresenta una svolta nelle strategie del governo. E, finalmente, dà contenuto alle espressioni di circostanza mille volte ripetute dai rappresentanti della Madrepatria, ma mai trasformate in realtà. La missione economica del premier Renzi, a capo di una folta delegazione di capitani d’industria, rappresenta, quindi, un contatto diverso, nuovo, verso uno spicchio del mondo che non appariva nel “radar” del Belpaese.
Particolarmente interessante l’approccio con due Paesi dalle grandi potenzialità che hanno avuto il coraggio di iniziare una svolta nelle loro relazioni internazionali (Cuba) e nazionali (Colombia). L’apertura di Cuba, e l’attesa abrogazione delle sanzioni nordamericane, aprono agli investitori un mercato nel quale c’è tanto da fare e da costruire: un terreno quasi vergine ove poter intervenire nel rispetto delle regole del gioco e dell’ambiente. Un’arena in cui la tecnologia e il disegno italiano possono aprirsi uno spazio assai interessante.
Il tentativo del presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, e delle Farc, la storica organizzazione guerrigliera nata nel lontano 1964, di dare un’opportunità alla pace, ripropone al mondo dell’imprenditorialità un Paese che, se finalmente riuscirà a lasciarsi alle spalle più di mezzo secolo di lotte fratricide e a restituire alla popolazione la tranquillità di una vita senza violenza, ha le condizioni per un decollo verso il consolidamento dello sviluppo economico.
In questo contesto, anche il Venezuela, se altre fossero state le circostanze politiche, sarebbe stato una tappa importante della tournée latinoamericana del Premier. Ma su quelle economiche sono prevalse certamente ragioni di carattere politico.
In effetti, con un delicato e complesso processo elettorale alle porte, qualunque fosse stato l’approccio di una visita ufficiale del premier, ma anche di delegazioni politiche ufficiali, sarebbe stato interpretato o come una presa di posizione a favore del Governo o come un contributo alle forze politiche che lo avversano. In ogni caso come una ingerenza che non avrebbe certo contribuito alle buone relazioni tra i due paesi.
Non si sa quali saranno i risultati elettorali. Ma, se i sondaggi delle agenzie demoscopiche non si riveleranno un bluff, il paese vivrà una svolta politica e, di conseguenza, l’inizio di una trasformazione economica. Vi saranno provvedimenti economici dolorosi e impopolari. Ma anche fiducia nella ripresa e rinnovato ottimismo. In quest’ottica, il Venezuela avrà bisogno di aiuto. E, la nostra Collettività, di un Governo capace di interloquire con le autorità; di un governo con prestigio e forza per spezzare lance a suo favore.
Indebolito e stremato. In Venezuela esiste ancora un tessuto industriale, certamente spossato e logorato dalle politiche economiche del governo e ormai obsoleto a causa dell’impossibilità di provvedere al suo ammodernamento, ma comunque interessante. Un tessuto industriale, quello che ancora resiste alla crisi, in cui la presenza italiana è sempre molto importante e costituita, oggi, dagli eredi dei pionieri: giovani imprenditori che si sono formati all’estero, nelle università più prestigiose del mondo. Fino ad oggi, hanno dato dimostrazione di saper affrontare le avversità, di non arrendersi alle difficoltà e di non essere disposti a soccombere alla complessa crisi che vive il Paese.
Se le aziende italiane riusciranno ad essere lungimiranti, allora sapranno valorizzare la presenza della nostra imprenditorialità. E di conseguenza sostenere e partecipare, insieme a loro alla ripresa economica del Venezuela. Una ripresa che sicuramente non sarà limitata al mercato nazionale, ma orientata verso l’export. D’altronde il Venezuela, non ci stancheremo mai di ripeterlo, offre una collocazione geopolitica invidiabile agli imprenditori capaci di rompere paradigmi e di proiettarsi oltre il “provincialismo economico”. Al nord del sud, quindi, ponte verso i mercati del Nordamerica, del Centroamerica, della regione andina e del Mercosur.