Psuv e “Tavolo dell’Unità”, tra falchi e colombe

La notte delle elezioni politiche 6D.
La notte delle elezioni politiche 6D.
La notte delle elezioni politiche 6D.

CARACAS – Ha riconosciuto la sconfitta. Non poteva non farlo. Ma non l’ha ancora digerita, metabolizzata. Quanto accaduto il 6 dicembre, in seno al “chavismo” brucia. Ma più che la sconfitta, largamente prevista dai sondaggi, fa male la valanga di voti ottenuti dall’Opposizione. Oggi si può affermare che, nonostante tutto, il sistema democratico ha retto alle tentazioni autoritarie.

E’ evidente che i voti ottenuti dal “Tavolo dell’Unità” non appartengono tutti all’Opposizione. In gran parte provengono dalla corrente del “chavismo” che ha voluto castigare la cecità di chi ha governato per 17 anni; punire l’arroganza del potere che non ha saputo rettificare quando tutti chiedevano di farlo; condannare la vocazione autoritaria di chi ha governato volendo imporre il proprio discorso e le proprie idee; e respingere il linguaggio aggressivo, litigioso e dispotico.

Insomma, è stato un “voto castigo”. Il “chavismo” si è “turato il naso” e ha votato. E per farlo non ha avuto bisogno di alcun suggerimento sullo stile di quello che Indro Montanelli, pochi giorni prima delle elezioni politiche nel 1976, dette agli italiani, ripetendo le parole di Gaetano Salvemini alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, sintetizzate in un solo consiglio “turarsi il naso e votare Dc”. Il “chavismo” dissidente, contrariamente a quanto si pensava, non si è astenuto e neanche ha votato scheda bianca.

Il presidente Maduro, con il suo atteggiamento, ha aperto una breccia profonda tra “chavismo” e “madurismo”. Il Psuv e il suo “Polo Patriotico” non sono più monolitici; non sono più formazioni politiche cementate attorno a pochi leader storici e indiscussi. Il 6 dicembre ha fatto emergere le tante anime nascoste.

Il Psuv, per anni, è stato il contenitore di correnti silenziose che attendevano il momento opportuno per svegliarsi dal letargo e dar voce alle proprie idee. Ed ora ci si attende, in seno al partito della maggioranza, una profonda autocritica. “Extrema ratio”.

Dopo una sconfitta dalle proporzioni ciclopiche come quella sofferta dal Psuv il 6 dicembre, era logico attendersi le immediate dimissioni della Direzione del partito, l’assunzione di tutte le responsabilità e l’inizio di un profondo dibattito per l’elezione di una nuova Direzione e la costruzione di un diverso indirizzo politico. Nulla di tutto ciò è accaduto per il momento. Ma talune correnti, alcune fanno capo ad Aporrea.com, reclamano oggi l’apertura di un dibattito.

E’ facile prevedere una lotta interna, fratricida, per il controllo del Psuv; un conflitto che coinvolgerà la vecchia dirigenza e i leader emergenti e che sicuramente farà le sue vittime. Forse sarà esagerato parlare di rottamazione, sicuramente non lo sarà di “trasformazione”.

Nei prossimi giorni, settimane o mesi si saprà quanto forte sia il potere di chi oggi ha in mano le redini del partito. Si dovrà attendere per conoscere chi, tra “falchi” o “colombe”, avrà la meglio nel Psuv.

Comunque sia, il partito oggi al governo ne uscirà indebolito. E ciò potrebbe arrecare un grave danno alla democrazia e all’equilibrio dei poteri. Il Paese ha bisogno di un Psuv robusto, capace di contrastare chi, forte della maggioranza assoluta in Parlamento, potrebbe sentirsi in libertà di commettere eccessi; quegli stessi eccessi tanto criticati fino a ieri al “chavismo”. Le prossime settimane e i prossimi mesi rappresentano un esame importante per il Paese.

L’atteggiamento del presidente Maduro; il suo linguaggio aggressivo; i suoi discorsi apocalittici circa il futuro del Paese e le denunce di presunte trame del “Tavolo dell’Unità” a danno dei lavoratori, non contribuiscono a creare il clima di armonia e tranquillità di cui ha bisogno il venezuelano, preoccupato per la mancanza cronica di generi alimentari, prodotti per l’igiene, medicine e, anche se può sembrare ridicolo, giocattoli per bambini in epoca natalizia.

Le elezioni hanno arroventato gli animi e ora ci sarebbe bisogno di un attimo di pausa. Un armistizio; un linguaggio sereno che inviti alla pace. In pericolo è oggi l’intera impalcatura democratica, costruita con tanti sacrifici.

Nei giorni scorsi, a rendere ancora più difficile la convivenza politica, è stata l’entrata in scena dei “colectivos”, le bande di “motorizados” che armati fino ai denti hanno seminato il panico durante la campagna elettorale e immediatamente dopo il voto del 6 dicembre. L’irruzione violenta durante la conferenza stampa degli ex ministri Jorge Giordani e Hèctor Navarro, voci della dissidenza “chavista”, la dice lunga sull’ambiente che domina nel Psuv. Il vecchio tutore del presidente Chávez, che per anni ha avuto la responsabilità della direzione economica del paese, è apparso solo e smarrito, confuso e demoralizzato.

Quello dei “colectivos”, se si dà credito agli esperti in materia, sarebbe stato un semplice “globo de ensayo”. Una prova generale per azioni che potrebbero ripetersi in altri momenti e in altri scenari. Un’operazione orientata a seminare paura e timore. E a creare instabilità politica in un Paese in crisi economica.

Sul versante opposto, in casa del “Tavolo dell’Unità”, nei prossimi giorni potrebbero emergere le contraddizioni fino a ieri frenate da una “ragione superiore”: sconfiggere il “chavismo”. Il “Tavolo dell’Unità” resta pur sempre una coalizione eterogenea nella quale convivono anime assai diverse, dal radicalismo di destra a quello di sinistra. Sarà difficile per la sua Direzione conciliare interessi, armonizzare tendenze e orientamenti.

Le elezioni, comunque, hanno evidenziato una distribuzione del potere che privilegia i partiti delle “colombe”. Ovvero, “Primero Justicia”, “Acción Democratica” e “Un Nuevo Tiempo”. Ma “Voluntad Popular”, che nel 2014 sostenne la tesi di “La Salida” e indirettamente incoraggiato le barricate che per settimane sconvolsero la vita dei venezuelani, ha ottenuto la quarta più importante votazione. E’ logico che farà pesare la sua posizione.

Per il momento, dovrebbe prevalere la tesi della negoziazione per riscattare gli equilibri democratici. Il “Tavolo dell’Unità”, quindi, dovrebbe dar forza alle argomentazioni di Henrique Capriles Radonski: continuare a sommare voti evitando confronti sterili e promuovendo provvedimenti orientati a migliorare la qualità di vita del venezuelano.

In effetti, nell’agenda del “Tavolo dell’Unità” vi è, ad esempio, la consegna dei titoli delle case della “Misión Vivienda”, provvedimenti orientati a migliorare gradualmente l’approvvigionamento di materie prime per l’industria e a sostenere la produzione privata; a superare la mancanza di alimenti, prodotti per l’igiene e, in particolare, di medicine.

Non mancano, ovviamente, temi polemici. Ad esempio, il neo deputato José Guerra ha pubblicamente dichiarato che chiederà ai ministri dell’Economia e al Presidente della Banca Centrale di rispondere della loro amministrazione in questi anni.

Insomma, anche in seno al “Tavolo dell’Unità” la situazione non è chiara. L’armonia, che ha portato al trionfo del 6 dicembre, potrebbe incrinarsi improvvisamente e trasformarsi in caos. E non è da scartare, poi, la “compra-vendita” di voti in Parlamento. E così la maggioranza assoluta, conquistata con grande impegno, potrebbe non essere tale.

Per il momento, comunque il confronto anche nel “Tavolo dell’Unità” è tra “colombe” e “falchi”; tra chi vuole l’immediato referendum per revocare il potere al presidente Maduro e chi, invece, considera che i venezuelani hanno votato per un Parlamento che s’impegni a legiferare. Per questi il referendum rappresenta l’“extrema ratio”, qualora il capo dello Stato s’impegnasse in una opposizione ad oltranza.

(Mauro Bafile/Voce)

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