Venezuela, tra caos politico e crisi economica

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Caos. E’ questo il clima che si respira in un paese che, in questi giorni di pace natalizia, cerca affannosamente di dimenticare i problemi della quotidianità, purtroppo senza riuscirci. A ricordarli ogni mattina sono non solo i titoli dei giornali e tiggì o le lunghe file alle porte dei supermarket e piccoli generi alimentari, in questi giorni insolitamente assortiti se non con tutti i prodotti del carrello della spesa almeno con alcuni di essi; lo sono anche le lunghe trasmissioni, il più delle volte a reti unificate, del presidente della Repubblica, Nicolás Maduro.

Il Venezuela vive, oggi, una fase di precarietà istituzionale e politica come mai si era vista dal lontano 23 gennaio del 1958. Eppure, di momenti difficili il Paese ne ha vissuti e tantissimi. L’attentato al presidente Romulo Betancourt, all’indomani della riconquistata libertà democratica; gli anni di piombo per l’insurrezione marxista e filo-cubana che caratterizzò la decada del ’60 e parte di quella del ’70; la “crisi del debito estero”, che portò il paese sull’orlo del default; il “Caracazo”, che si concluse con un massacro di cittadini le cui proporzioni ancora oggi sono sconosciute; il “golpe” dell’estinto presidente Chávez, che mise a dura prova le istituzioni democratiche incrinandone le basi.

Grandi e piccoli avvenimenti che sconvolsero la nostra vita e ai quali la Repubblica, la Democrazia, la Società seppero reagire. Mai, a nostro avviso, il paese si era risvegliato dopo una giornata elettorale con la sensazione di aver voltato pagina senza sapere cosa scrivere nel nuovo capitolo della propria storia; con la percezione di aver smarrito il proprio cammino.

Nel Psuv, oggi, la scontro non è solo tra “chavismo” e “madurismo”. Il duello tra le due correnti per il controllo del partito era iniziato già prima, lo stesso giorno in cui l’estinto capo dello Stato ungeva Nicolás Maduro quale erede della “rivoluzione”. Il conflitto, dietro le quinte, pare sia sostanzialmente tra il capo dello Stato e l’attuale presidente del Parlamento.

Tra Nicolás Maduro, indebolito dalla sconfitta alle urne dopo una campagna elettorale condotta in prima persona; e Diosdado Cabello, più fragile dopo la disfatta elettorale nello Stato Monagas. Nicolás Maduro porrebbe sul piatto della bilancia la sua investitura quale capo dello Stato e delfino, decisa dall’estinto presidente Chàvez; e Diosdado Cabello il controllo che ancora avrebbe delle Forze Armate. Quindi, fuori dalle mura di casa, l’unità cementata dalla necessità di arginare l’avversario comune: l’Opposizione; dentro di essa la lotta senza quartiere per il controllo del partito.

Guerra economica, Guerra Politica Elettorale, Parlamento Comunale. Espressioni che lasciano l’amaro in bocca. Il Capo dello Stato, sorpreso dal K.o. fulminante nelle elezioni del 6 dicembre, ha sì riconosciuto la sconfitta ma ha attribuito ogni responsabilità a una presunta “guerra economica” condotta meschinamente dalla destra nazionale con lo “zampino” di quella internazionale.

Sconcertato dai risultati, ha poi cercato di mettere assieme i cocci della sconfitta evocando una presunta “guerra politica elettorale”, denunciando brogli e ordinando un’indagine approfondita per appurare la ragione della valanga di voti nulli. Il “sistema elettorale elettronico e digitalizzato”, improvvisamente, non è più il “migliore del mondo”. Anch’esso può far acqua.

Il capo dello Stato ha gettato ombre se non sul trionfo dell’Opposizione, impossibile da negare, almeno sulla maggioranza assoluta dei due terzi ottenuta da questa. Ma, allo stesso tempo, e inconsciamente, ha gettato dubbi sui risultati delle elezioni precedenti.

Pare evidente che il Psuv, e il Governo, non vogliano cedere la maggioranza del Parlamento all’Opposizione. E, mentre esigono dal Cne un salvagente con il conteggio dei voti in alcune circoscrizioni, in Parlamento si affrettano ad approvare provvedimenti ad hoc e a eleggere i magistrati del TSJ.

In circostanze normali, in seno al Parlamento già si starebbe procedendo a una transizione pilotata tra chi esce e chi entra. Il “Tavolo dell’Unità” avrebbe già scelto gli integranti della propria commissione. Questa sarebbe composta dai deputati Edgar Zambrano (AD), Miguel Pizarro (PJ), Juan Guaido (VP) e Timoteo Zambrano (UNT). Stando a indiscrezioni, però, il Psuv, avrebbe risposto “picche”.

E il presidente uscente del Parlamento, Diosdado Cabello, avrebbe fatto sapere che non vi sarà nessuna transizione pilotata giacchè non riconoscerebbe i deputati eletti del Tavolo dell’Unità. Una decisione che, se risultasse vera, creerebbe un ulteriore elemento di instabilità ma che, tuttavia, sarebbe perfettamente in linea con quella di approvare un Parlamento Comunale, che dovrebbe se non eclissare almeno diminuire il potere dell’AN.

Il Parlamento Comunale è un vecchio progetto del presidente Chávez; progetto inserito nella riforma Costituzionale che i venezuelani rispedirono al mittente bocciandola in un referendum. Il Parlamento Comunale non è contemplato nella Costituzione del 1999. Ma la sua creazione comunque comporterà difficoltà alla nuova Assemblea Nazionale. Oggi Governo e opposizione giocano una delicata partita a scacchi che potrebbe sfociare nel caos.

L’Opposizione, oggi, si trova a dover affrontare una prova ancor più difficile di quella delle urne. Ieri, contro l’avversario comune rappresentato dal “chavismo”, è riuscita a trovare la motivazione per convergere sotto un solo tetto: il Tavolo dell’Unità.

Oggi, il pericolo è che l’eterogenea coalizione possa implodere. L’elezione della nuova Giunta Direttiva del Parlamento è la mela della discordia. Nomi noti e altri sconosciuti. Ogni schieramento politico, grande o piccolo che sia, vuole avere la sua quota di potere. E le due grandi formazioni, Primero Justicia e Acción Democratica, dietro le quinte, si muovono con discrezione e prudente diplomazia per piazzare il proprio candidato alla presidenza dell’An.

Julio Borges o Ramos Allup? Questi, per il momento i nomi più gettonati. Ma potrebbero apparirne altri a sparigliare le carte in tavola. E’ una partita difficile, assai delicata quella che in questi giorni si gioca in casa della Mud.

Ad aggravare il panorama è lo stallo economico, latente da anni ma che oggi si manifesta in tutta la sua complessità. L’anno venturo sarà assai difficile. Infatti, è improbabile un incremento del prezzo del barile di greggio. E, come si sa, l’economia nazionale dipende ormai in un 95 per cento dall’esportazione dell’oro nero.

Ma la crisi sarà ancor più severa se dovessero risultare certe le voci circa l’ordine di vendere, e obbligare a vendere, quanto hanno in deposito negozi e supermarket. Dagli alimenti agli elettrodomestici, dagli abbigliamenti alle medicine. Se ciò fosse vero, il prossimo anno inizierebbe con una crisi di scarsità di proporzioni ciclopiche.

Mancanza di alimenti, abbigliamenti, elettrodomestici e medicine che non potrebbe essere tamponata immediatamente con le importazioni. Mancanza di ogni bene che il governo e il Psuv, ormai all’Opposizione, attribuirebbero alla nuova Assemblea Nazionale.

Voci di corridoio. Per il momento, solo speculazioni. Comunque, considerazioni inquietanti. Così, il Paese chiude il 2015 in un clima di caos, confusione e ansia. C’è solo da sperare che il buon senso prevalga nel 2016. E’ l’augurio di tutti noi.

(Mauro Bafile/Voce)

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